Giovanni Palombo - Fingerstyle World Jazz

Cesare

Cesare

The "Acoustic Guitar Highlights" sampler is now gong into its next edition! ACOUSTIC MUSIC has set a good tradition of presenting the most interesting new releases on this compilation CD. For the curious listener, this is a perfect opportunity to get to know new artists. When you have found your favorite, it is easy to just order the artist's latest CD. The fact that the highlight sampler also does a great job documenting the liveliness of the acoustic guitar scene is something one readily accepts. The retail price is a friendly EUR 5,90. The perfect chance to get to know the program of ACOUSTIC MUSIC RECORDS. Acoustic Guitar Highlights Vol. 6 is an exciting, rich portrait of ACOUSTIC MUSIC productions over the past few months and an important documentation of a blossoming international scene. (acoustic-music.de)

Unpaeseaseicorde.it
CAMERA ENSEMBLE
Orta S. Giulio - 22 luglio 2013
 

In un lunedì di luglio già ricco di turisti, UN PAESE A SEI CORDE è tornato a Orta S. Giulio. La piazza è tutta per il CAMERA ENSEMBLE. In questo luogo meraviglioso, che il mondo ci invidia e che l’Amministrazione locale stenta un po’ a valorizzare nel modo adeguato, un folto numero di vacanzieri ha presto riempito le sedie a disposizione, unendosi agli ormai molti affezionati spettatori che seguono la rassegna, concerto dopo concerto. Già un piccolo assaggio di spettacolo a sei corde era stato fornito durante l’aperitivo dalla Music Art Academy di Borgomanero che, con alcuni allievi dei suoi corsi a cui si è aggiunto qualche chitarrista più esperto a dare sostegno, hanno allietato i presenti con alcuni brani per chitarra (e un flauto) e voce. E persino la performance di due giovani artisti di strada - piccola e deliziosa - ha contribuito a tenere calda la piazza (se non fosse bastata la temperatura tropicale) in attesa che gli artisti salissero sul palco. Se già lo scorso anno avevamo avuto modo di ascoltare Giovanni Palombo (S. Maurizio d’Opaglio, 14.08.2012 in duo con Maurizio Brunod), Gabriele Coen, al sax e al clarinetto, Benny Penazzi, al violoncello, e Andrea Piccioni, alle percussioni, sono stati per noi delle vere rivelazioni. La musica di questo gruppo, che loro stessi definiscono etno-jazz, sembra il compendio di tutti i suoni e melodie nati o portati in questa nostra Italia dai vari popoli che l’hanno abitata. E l’effetto sulla piazza è davvero entusiasmante, zanzare a parte. Già il primo brano, Viaggio in Corsica, ci fa capire quanto i quattro siano affiatati e, mentre la gente si scambia preziosi spray repellenti, Giovanni Palombo presenta la formazione e il secondo brano, Folk Frontiera, vero manifesto della loro musica, che trae vita dalla tradizione, superandola allo stesso tempo con l’inserimento di elementi moderni e jazz. Con la chitarra a legare tutto, e Piccioni che contribuisce con percussioni discrete ad un equilibrio perfetto, il clarinetto di Coen dà l’impronta iniziale al pezzo, prima del magnifico assolo del violoncello di Penazzi. È la seconda volta in pochi giorni che incontriamo un violoncello nelle formazioni che si sono esibite nel corso del festival, ed è straordinario rendersi conto all’improvviso di quanto sia versatile questo strumento. Nelle mani di Benny Penazzi, poi, rivela appieno tutta la sua personalità, come dimostra nell’originale intro di Live in Copenhagen, Love in Rome, in cui bastoncini di legno e catenelle aggiungono suoni nuovi. Ma cosa c’entra La Profezia dell’Armeno col comune di Armeno, qui vicino? Non lo sapremo mai, ma il piccolo tango che porta questo titolo è simpatico e questo ci basta. La Piccola Suite Ellenica, a seguire, ci immerge nei colori del Mediterraneo e permette ad Andrea Piccioni di dare prova del suo grande virtuosismo con i tamburi a cornice, in un assolo che scatena grandi applausi a scena aperta da parte di un pubblico entusiasta. Ma questo è UN PAESE A SEI CORDE e, dopo i richiami Klezmer di The Very Last Waltz, con il clarinetto di Coen a farla festosamente da padrone, Palombo si concede un brano tutto per sé per far riposare gli altri musicisti e dar prova della sua maestria con la chitarra. E quando i suoi compagni lo raggiungono di nuovo sul palco per l’ultimo pezzo in programma, lo fanno con qualcosa di scoppiettante che trascina gli applausi dei numerosi spettatori che chiedono il bis. Che i quattro musicisti concedono volentieri, regalando Tango Beffardo, un brano straordinario in cui Andrea Piccioni ci lascia senza fiato coi suoi magici tamburi a cornice che sembrano quasi cantare antiche canzoni portate dal vento del deserto. Ma un altro vento soffia sul lago d’Orta e il cielo si illumina di lampi che si aggiungono ai numerosi flashes dei turisti rimasti fino all’ultima nota di questo bellissimo concerto. Peccato non potersene portare a casa un ricordo, i CD sono esauriti, e allora via, meglio mettersi al riparo da un temporale che, alla fine, passerà lontano.
Paolo Incani
Jazzitalia
Recensione: Camera Ensemble (Helikonia Factory, 2010)
 

Camera Ensemble è il nome di un progetto musicale, dell'omonima impressione digitale ma, soprattutto, è un luogo d'incontro, un crocevia culturale. Quattro esploratori di genere si ritrovano in un quartetto d'ispirazione cameristica cercando di mediare timbri, tempi e luoghi. I fiati di Gabriele Coen conciliano la celebrazione classica del violoncello (Bernardino Penazzi) con il retaggio etnico portato della chitarra acustica (Giovanni Palombo) e, soprattutto, dei tamburi a cornice di Andrea Piccioni. Gli elementi si amalgamano attraverso una rilettura contemporanea supportata da un'armonia e un estro tipico del jazz mantenendo, comunque, un sound acustico e cameristico.
L'ispirazione giunge ai nostri dai luoghi del Mare nostrum, ricchi di fascinazione, suggestivi anche per le loro tradizioni millenarie e le infinite storie che portano seco. Così è il viaggio: la libertà, l'assenza di vincoli che informa le varie composizioni permette la miscellanea che ne scaturisce traghettando verso lidi ove il jazz e la classica sconfinano nella world music.
Da ogni buon viaggio spesso deriva una maggiore definizione di sé che, inevitabile, compendia la vastità degli spazi appena conosciuti in un luogo temporalmente e geograficamente circoscritto: tale luogo è il supporto digitale ove è inciso Camera Ensemble e il tempo è quello in cui ciascun ascoltatore lo riproduce. Che dir di più, avviate il player e buon ascolto!
Fabio Ciminiera
J.C. Jazz Convention (web)
Recensione: Camera Ensemble (Helikonia Factory, 2010)
 


Giovanni Palombo: chitarra acustica
Gabriele Coen: sax soprano, clarinetto
Benny Penazzi: violoncello
Andrea Piccioni: percussioni, tamburo a cornice

Corde, pelli, ance lasciano passare la loro materica vitalità attraverso le tracce di Camera Ensemble. Suoni acustici, registrati con attenzione e immediatezza, strumenti tradizionali e linee radicate sulle tradizioni musicali delle varie anime popolari e colte, presenti in Europa e sulle coste del Mediterraneo.
I nove brani del disco proposto da Giovanni Palombo, Gabriele Coen, Benny Penazzi e Andrea Piccioni raccontano un viaggio musicale fatto attraverso le terre e le città ricordate nei titoli - Viaggio in Corsica, Love in Copenaghen, life in Rome, La profezia dell'Armeno, Piccola Suite Ellenica, Natale a Milano - e che dalle varie ambientazioni raccoglie suggestioni e influenze. A queste vanno poi aggiunti lo sguardo ai riferimenti portati dalla storia e dagli strumenti dei singoli musicisti, dalla dimensione eurocolta alla musica klezmer, dalle danze alle tradizioni etniche.
La formazione si pone alla confluenza di tutte questi flussi sonori e la sua voce diviene in modo naturale la sintesi scaturita dal permearsi continuo di ascolti ed esecuzioni nei vari contesti. Camera Ensemble riflette l'idea di lasciarsi attraversare da musiche di diversa provenienza per arrivare alla scrittura di brani e al disegno generale di un quartetto dalle dinamiche ampie e dai colori vividi. Se Giovanni Palombo è l'autore maggiormente presente nei crediti dei brani, si può immaginare come il quartetto abbia uno sviluppo sicuramente collettivo, cosa sottintesa anche dalla denominazione stessa del gruppo: sono brani articolati in maniera calzante alle caratteristiche sonore ed espressive dei quattro musicisti, una formazione inconsueta dai ruoli intercambiabili - soprattutto per quanto riguarda le linee di basso realizzate dall'incontro delle voci del violoncello e della chitarra - e dall'esecuzione fluida e sempre in movimento.
Altro elemento di convergenza è la visione cameristica dell'ensemble e la disponibilità di tutti e quattro i musicisti a misurarsi con l'assolo e l'improvvisazione: ulteriore punto di incontro tra l'attitudine del jazzista e l'attenzione alle necessità della scrittura, tra il rigore e il rispetto della tradizione e la spinta personalità dei quattro esecutori.

Gerlando Gatto
Online-jazz.net (maggio 2010)
Recensione: Camera Ensemble (Helikonia Factory, 2010)
 

Camera Ensemble è un nuovo gruppo che si presenta al pubblico con un lavoro di rilievo. Già l’organico è una sorta di manifesto della via che il gruppo intende perseguire: con Giovanni Palombo alle chitarre, Gabriele Coen al clarinetto e sax soprano, Benny Penazzi al cello, Andrea Piccini alla batteria e percussioni, il combo vuole coniugare suoni antichi e suggestioni moderne in una proposta assolutamente originale dato che tutti i brani sono originali. I quattro hanno scritto composizioni in cui il gusto della linea melodica prevale nettamente su tutto il resto mentre preziosa appare la ricerca sul sound fortemente intriso di quella dimensione cameristica che si ritrova nel titolo sia del gruppo sia del CD. E il risultato, come si accennava all’inizio, è di eccellenza: l’ascoltatore attento può rinvenire tracce di musica etnica, di jazz, di musica improvvisata, il tutto filtrato attraverso la squisita sensibilità di questi artisti che non tendono a stupire quanto ad esprimere compiutamente sé stessi. Così è davvero un piacere ascoltare come il violoncello di Penazzi si sposi magnificamente con i fiati di Coen e la chitarra di Paolombo mentre Piccini provvede a fornire un tappeto ritmico mai soverchiante ma sempre presente e soprattutto di estrema eleganza. Insomma un album di rara eleganza che si fa ascoltare dal primo all’ultimo istante e, soprattutto, che ti fa venir voglia di riascoltarlo ancora una volta.. cosa, credetemi, oggi più unica che rara.
Trad. di Marco Monte
Akustik Gitarre (marzo 2011)
La leggerezza del sud
Non sono sempre i brani più travolgenti a rimanere nella memoria; a volte sono proprio i più discreti quelli che ti incantano per sempre. Il trio chitarristico che esegue “Anna & Maurizio” somiglia un po’ a De Lucia, DiMeola e McLaughlin. Eppure la sua forza non sta tanto nell’aperto virtuosismo. Piuttosto, è da rintracciarsi nell’ariosità di una composizione che invita chi ascolta a sorvolare un territorio dell’immaginario: mediterraneo ma non rovente; boschivo ma non oscuro; quieto, ma tutt’altro che privo di vita.
Perfino all’interno di questo trio non è il solista a risvegliare il maggior interesse. No, è piuttosto l’interprete discreto che governa un pulsare ritmico ed armonico che scorre omogeneo ma scintillante. Ma chi, come Giovanni Palombo, sa restare sullo sfondo e tessere le fila delicatamente e modestamente, riesce ad esprimere la stessa magia eseguendo lo stesso brano da solo. Esistono incisioni nelle quali, in un fingerstyle accentuato e caratterizzato da un travolgente groove di bassi, Palombo mostra la sua perizia autoproclamandosi ironicamente “inventore del rock’n’roll”. Altre registrazioni documentano la sua capacità di passare allo slapping e al tapping nel bel mezzo di brani malinconicamente latini, o di duellare in ritmica con il percussionista Andrea Piccioni.
È molto difficile catalogare questo artista. Molte delle cose di Palombo hanno un che di mediterraneo, ma il suo suono acustico ricorda a volte John Renbourn, mentre a volte sembra affacciarsi Chick Corea e, nel brano successivo, si respira lo spirito della ECM: musica moderna europea combinata con un jazz etereo. Le basi di tutto ciò risalgono all’infanzia del musicista: dopo aver scoperto una vecchia chitarra in casa di amici Giovanni, che ha undici anni, inizia a prendere lezioni di chitarra classica da un parente insegnante di musica; contemporaneamente suona musica rock e underground con gli amici finché, a 20 anni, scopre “che la chitarra acustica può costituire un mix tra chitarra classica ed elettrica” e può metterle in collegamento.
Che lavoro vuoi fare? Il musicista!
All’epoca circola nell’ambiente del Folkstudio romano, si interessa al revival folk dei chitarristi acustici britannici e si dedica intensamente al jazz. “Ho sempre avuto in mente questo mix, anche se non riuscivo a realizzarlo. Ma ho continuato ad evolvermi sulle basi iniziali”, afferma. Non ha mai studiato musica. Prende alcune ore di lezioni private, frequenta i workshop della Berklee School of Music in Italia, suona insieme ai jazzisti contemporanei che passano in tournée. Palombo carpisce tutto quello che può senza perdere una sola occasione. Intanto si laurea in astrofisica, “ma solo per curiosità personale e per interesse filosofico. All’epoca sapevo già che non avrei mai lavorato in questo campo, mi sono laureato un po’ per dare soddisfazione ai miei genitori.” Su un modulo anonimo all’inizio dell’università, alla voce “che mestiere vuoi fare?” scrive: “musicista”. Ancora oggi si domanda se il professore abbia capito di quale studente si trattasse.
Da Towner a Hedges e Scofield
Ormai ha dimenticato quasi tutto quello che ha appreso sgobbando sui libri di studio. “Uno sforzo simile e contemporaneamente la musica: pazzesco!”, dice oggi ridendo, anche se non lo considera tempo perso: “Credo che le scienze naturali aprano lo spirito e possano portare a un atteggiamento più informato.” Anche nella musica? “Difficile da dire”. In ogni caso ha realizzato un progetto musicale sul tema dell’astronomia in occasione dell’Anno Internazionale dell’Astronomia e sa che una sua collega ha trasformato in musica il suono delle stelle registrato magneticamente. “E poi uno dei miei professori dirigeva un coro, mentre ce n’era un altro che era un eccellente violinista. Gli scienziati spesso sono buoni musicisti; il bassista jazz Gary Peacock è chimico, il chitarrista dei Queen Brian May è astrofisico anche lui.”
Nomi chiave che riportano alla musica di Palombo. Peacock, in quanto bassista del trio di Keith Jarrett, simboleggia la musica ECM, May, in quanto musicista rock, rappresenta l’influsso di nomi come Jimi Hendrix. L’influenza maggiore è però quella esercitata su di lui da un americano dallo stile quasi inafferrabile che ha studiato a Vienna: Ralph Towner. Un altro musicista e libero pensatore che potrebbe aver contribuito alla formazione del suo stile è il brasiliano Egberto Gismonti, inoltre l’artista romano ama lo stile percussivo di Michael Hedges, diventato anch’esso un elemento stilistico della sua musica. Palombo osserva intensamente svariati stili musicali, ad esempio il nuovo flamenco, che si apre ad altre influenze; nel jazz cita tra i suoi punti di riferimento Pat Metheny, John Abercrombie, John Scofield e Bill Frisell. In questo modo chiarisce che per lui il jazz è ben oltre lo swing da bar e il cool.
“La mia musica è la prosecuzione di tutte queste radici. Ma amo tanto il suono della chitarra acustica che si può dire che la mia musica sia organizzata intorno a questo suono, sia nei miei lavori da solista che in duo, in trio e in altri progetti.” A partire dagli anni Ottanta incide album di sola chitarra, negli anni Novanta va in tournée con Stefan Grossman e con chitarristi italiani. Quando, poco prima del 2000, conosce Peter Finger, incide altri album con la Acoustic Music che gli consentono di realizzare progetti in cui può esprimersi in primo piano come chitarrista fingerstyle ma in cui può anche dare espressione ad ambizioni musicali di più ampio respiro. Durante questi sviluppi l’artista, che vive a Roma e svolge attività di insegnante a tempo pieno in una scuola di musica, scrive due metodi per chitarra fingerstyle e compone musica per il teatro e per il cinema, non ha un attimo di respiro.
Cultura musicale italiana e strumenti
Nelle sue composizioni Palombo presta particolare attenzione alla cantabilità delle linee melodiche, un fatto che trova rispondenza nella cultura musicale italiana in generale e che anche nella sua musica ha un ruolo preponderante. Con il suo collega Franco Morone ha in comune lo sguardo rivolto alle proprie radici, senza rinunciare al suono acustico di tradizione americana. Non sa spiegare perché non utilizzi corde in nylon (l’unica ragione sembra essere l’insoddisfacente suono amplificato della chitarra classica), e mentre lo dice esegue un passaggio classico che sulla sua Lakewood suona splendido. A differenza di Franco Morone, però, Palombo ha percorso la via del folklore italiano insieme a piccoli ensemble. “Come in Towner mi piace suonare il brano sulla chitarra, ma al contempo sento la necessità di udire le voci di altri strumenti, ad esempio la fisarmonica o il sax, e vorrei entrare in dialogo con loro.”
Un’altra cosa che lo distingue da Franco Morone è la sua estesa tendenza a improvvisare. In Morone i pezzi sono arrangiati da cima a fondo, mentre Giovanni Palombo improvvisa anche nel fingerstyle: una sfida di altissimo livello tecnico e mentale. “So di non aver espresso ancora tutto il mio potenziale, ma improvvisare mi piace così tanto che ci lavoro molto”, afferma. A volte ricorre a un looper. “Ho imparato molto da chitarristi jazz come Tuck Andress e Joe Pass, tra l’altro la capacità di unire accordi e linee solistiche. Utilizzo i bassi in modo da integrare le figure create sulle prime corde. Ma per arrivarci bisogna lavorare molto. E può capitare che una volta davanti al pubblico non tutto funzioni al cento per cento...”
Problemi che sono però compensati dalla sua capacità straordinaria di suonare in ensemble e dalle sue doti di compositore. Il brano “Viaggio in Corsica” esprime il potenziale lirico della sua melodia già quando l’autore di questo piccolo capolavoro lo esegue da solo sullo strumento con fluidità fenomenale. E tuttavia, quando questo brano viene eseguito da un ensemble, il suo tema vivace acquista come una seconda identità e l’ascoltatore si stropiccia gli occhi - e le orecchie - incredulo: è questo il momento in cui il brano esprime al meglio quel mix di musica classica, folk e jazz che lo caratterizza. Melodia italiana e complessità compositiva. Improvvisazione e armonie di fonte diversa. Questo è in poche parole il progetto musicale di Giovanni Palombo.

Fabrizio Ciccarelli
Jazzitalia
Folk Frontiera di Giovanni Palombo
Chitarrista e compositore romano, di cui piace ricordare la partecipazione all'interessante progetto world "Zen Bel Jazz" e a quello più smooth "Albacustica", attivo nell'Acoustic Trio da 4 anni assieme ai due abili strumentisti Feliciano Zacchia e Francesco Lo Cascio, Giovanni Palombo presenta nel suo "Folk frontiera" dieci brani densi di sensibilità espressiva, ricchi di una sintassi musicale polimorfa tendente ad esaltarne il cromatismo, per le tante incursioni meditative fortemente chiaroscurali e per l'indubbia sensibilità di fondo che sembra pervadere l'album in toto.
Il suo, come sappiamo, è un fingerstyle decisamente proteso alla costruzione di melodie ampie, di architetture sonore improntate tanto all'improvvisazione jazzistica propriamente intesa quanto alla coloritura di trame latine, etniche, folk, persino soft rock, tanto risulta vasta la cultura musicale del Nostro.
Può dunque giungere a chi ascolta un paesaggio espressivo composito, un mèlange stilistico connotato da un pathos intenso, da una passionalità dell'anima rarefatta, coinvolgente tanto più l'autore Palombo libera la propria intuizione in fraseggi lievi ed impressionistici, talvolta notturni nei cantabili – specie in quelli di matrice quasi bachiana – che pongono in luce una capacità introspettiva al di fuori di ogni déjà écouté. Di questo, prova ne sia "Il treno di Madrid", in memoria dell'attentato che tutti ricordiamo.
L'interplay fra i tre assume a volte movenze che paiono scandire spontanei rimandi a quel maestro dell'approccio armonico che fu Astor Piazzolla, equilibrando nuances sfuggenti e delicate, sospese in un dialogo morbido, "sibilante" si sarebbe tentati di dire, poetico e fluido nell'esposizione.
Il disegno d'assieme è immediato, segnato da un tocco di evidente personalità, non di rado "virtuoso" ma mai fine a se stesso; l'ardore introspettivo sembra maturo, svelato nei tratti più intimistici, come in "Profezia dell'Armeno" o nel brano che dà titolo all'opera: note che fluiscono spontanee, proposte con garbo e precisa personalità artistica, specie quando Lo Cascio tesse le sue forme dissolventi in gradevole dialogo con il clarinetto di Gabriele Mirabassi o con l'accordion di Zacchia.
Per ogni composizione il tempo dell'ascolto può dilatarsi piacevolmente, lirico e carezzevole, fino a "Lunare", coerente conclusione di questa "frontiera" dai limiti sconosciuti, un suono del ricordo una volta ancora senza tempo. 

Fonte: jazzitalia.net
gi. mic.
Alias (supplemento settimanale de "il manifesto"), pag. 13
MAURIZIO BRUNOD/GIOVANNI PALOMBO TANDEM DESÀRPA (Fingerpicking.net)
La produzione del coleader e chitarrista del quartetto Enten Eller di recente si diversifica tra collaborazioni prestigiose (John Surman) e dischi innovativi con ensemble sperimentali come Kandinskij, in trio con Marcella Carboni (arpa) e Massimo Barbiero (percussioni), oppure in questo duo con un altro chitarrista, ma in fingerstyle: l'accostamento tra un jazzman quasi free e un virtuoso country-folk crea inedite soluzioni da camera, memori forse di Eddie Lang e Lonnie Johnson, in un dialogo anche strumentistico tra classica ed elettrica, scritto e improvvisato, moderno e popolare.

Gianni Montano
Jazzitalia
Tandem Desàrpa - Maurizio Brunod e Giovanni Palombo
Quello che conta principalmente, quando si suona in coppia, è il rapporto umano che intercorre fra i musicisti. In questo "tandem" si concretizza una rimarchevole unità di intenti e di obiettivi fra due chitarristi di diversa storia personale e tendenza, accomunati, però, da stima e considerazione reciproche. In sovrappiù si registra una sana curiosità per il background culturale del partner, da parte di ognuno dei due artisti, tanto da far scaturire una notevole complicità, palpabile nell'ascolto delle varie tracce del disco.
Giovanni Palombo è certamente un virtuoso del fingerstyle, ma non fa sfoggio della sua tecnica, preferendo far vibrare il suo strumento acustico con uno stile di tipo melodico, rotondo, mediterraneo, di chiara origine controllata.
Maurizio Brunod è più appuntito, aguzzo nei toni, più nervoso, sempre rispetto al compagno di avventura. Quando suona la chitarra elettrica produce note lunghe, spesso, confezionando tappeti sonori o prende assoli lirici, ma di un lirismo asciutto, contenuto. Anche quando il dialogo è in acustico, si differenzia da Palombo per una maggior propensione alla sintesi, al fraseggio stretto, a un discorso più essenziale.
Il cd si apre con una spruzzata di aromi latini, come retroterra, in "Carousel" e prosegue con la ballad "Bellosguardo", dotata di un bel tema arioso, degno della buona e vecchia tradizione della canzone napoletana. "Tandem impro" dimostra come si compenetri il linguaggio dei due musicisti pure in una situazione svincolata da uno spartito. La delicata "Portami con te" si segnala per l'intervento "fisarmonicistico" di Brunod, che con il pedale ottiene questo effetto molto musicale, adatto al brano. "La lunga attesa" è tutta un ricamo delicato su un motivo ancora una volta soffice e aggraziato, opera stavolta del valdostano. "Gaucho" si caratterizza per un inseguimento fra le due chitarre su un motivo che scorre via veloce, ricordando un tango argentino in salsa nostrana.
"Invocazione e danza" è il vertice dell'intero album. Comincia con un'introduzione pensosa e tranquilla di Palombo. Si anima con l'intervento della chitarra elettrica, che porta echi country e suoni di frontiera. A questo punto il musicista campano si dedica ad un accompagnamento ritmico vivace, arricchito con colpi di mano sulla cassa armonica del suo strumento. Alla fine ritorna la calma con il ritornello che si riaffaccia in bella evidenza.
"Sirio up and down" è cosparsa di suoni elettrici. E' un pezzo rock lento, non memorabile.
"Milonga del nord" ci conferma la passione per la musica sudamericana da parte di Brunod. Qui tutto è delocalizzato, ma la malinconia di certe atmosfere lontane, di un altro emisfero, si avverte pienamente. Ancora gli arpeggi conseguenti di Palombo a seguire la melodia distorta e manipolata di Brunod in "Nora", come la maggior parte dei brani, su tempo lento.
Un colloquio alla pari è presente in "Stella del mattino", dove è tutto un botta e risposta, senza una vera definizione dei ruoli, chi si occupa del canto e chi viene dietro, come in altre tracce. Il tema è solare, come da titolo e i due comunicano interamente la gioia di suonare insieme.
Chiude il disco "Te vojo bene assaje", un super-classico, arrangiata con sincera devozione da Palombo, che la infioretta di abbellimenti, di microvariazioni, prima di cantarla sottovoce, come sottotono, con deferenza, si approssima l'altra chitarra per non rompere l'incanto. La tradizione non va mai tradita...
Non c'è da arrampicarsi sugli specchi per trovare una qualifica precisa a questa musica. E' una bella e gradevole serie di motivi che la coppia di signori chitarristi porge con garbo, in modo prevalentemente soft, senza strafare. Ed è un piacere ascoltarla.
 
Fonte: Jazzitalia
Andrea Carpi
Chitarra Acustica n. 3, 2012, pag. 30-33
Un fingerstyler trasversale – Intervista a Giovanni Palombo



Dopo il suo esordio nel 1985 con la partecipazione all’antologia Guitaròma della Lizard di Giovanni Unterberger, Giovanni Palombo ha intrapreso un lungo itinerario per ampliare i confini del proprio fingerstyle chitarristico in ambiti differenti, in particolare affiancando all’attività solistica la formazione di gruppi musicali diversi e piccoli ensemble strumentali: dagli Albacustica a UnoDuo, da Zen Bel Jazz al suo Acoustic Trio e a varie formazioni con musicisti come Feliciano Zacchia, Rosario Jermano, Francesco Lo Cascio, Ettore Fioravanti, Gabriele Mirabassi. In questi ultimi anni è stato poi particolarmente attivo e lo abbiamo trovato alle prese con la pubblicazione di due album di spartiti, un video didattico, la registrazione di un album con il nuovo gruppo Camera Ensemble, il completamento del trittico per la Acoustic Music Records con il suo primo disco interamente solistico, La melodia segreta – A Secret Melody, e infine l’avvio di un nuovo sodalizio con il chitarrista jazz Maurizio Brunod, che ha portato alla realizzazione del recentissimo Tandem Desàrpa. In questa intervista ci racconta come l’insieme di questi dialoghi musicali abbia permesso la maturazione di una sua dimensione peculiare, che lui ama definire di ‘fingerstyler trasversale’.

Dopo i primi due dischi con la Acoustic Music Records, Duos & Trios – Guitar Dialogues del 2003 e Folk frontiera del 2006, entrambi incentrati prevalentemente sull’interazione tra chitarra acustica e altri strumenti, sei uscito nel 2008 con l’album di spartiti Mediterranean Fingerstyle Compositions – Transcriptions for Solo Guitar from the CD ‘Duos & Trios’. Nella “Presentazione” scrivi che «potenzialmente ogni brano si adatta alla esecuzione solista o di ensemble con nessuna o poche modifiche»: come vedi il rapporto tra la chitarra sola e i gruppi strumentali con chitarra?
L’idea della chitarra acustica che, senza perdere la sua potenzialità, fosse inserita in un contesto di gruppo, è sempre stata per me una meta da raggiungere. Forse per la mia formazione, la chitarra sola da un lato e il divertimento in gruppo “in cantina” dall’altro, o forse per la grande impressione che intorno ai venti anni mi fecero i Pentangle, e successivamente gli Oregon di Ralph Towner. All’epoca il grande problema era avere una amplificazione di qualità decente, suonare l’acustica o la classica in gruppo con velleità solistiche era un’ambizione che pochi si sognavano di avere. La scommessa era quella di inventare un ruolo della chitarra nell’arrangiamento d’insieme, che non si limitasse al classico strumming di accompagnamento o a qualche frase pentatonica. Inoltre si trattava anche di trovare le persone giuste con cui sperimentare questi suoni, perché le sfumature da cogliere erano molto maggiori che non quelle da “plug and play” del rock, del blues o del pop. Ripeto però che gli esempi di John Renbourn e di Ralph Towner mi hanno sempre ispirato. Mi mostravano che si può essere solisti e, usando basilarmente la stessa tecnica, suonare in gruppo. Occorre un bagaglio più ampio di armonia, uno slancio inventivo rispetto alla relazione con gli altri strumenti, un occhio attento alla dinamica e alle sfumature, il piacere della condivisione con gli altri strumenti. Trovo che questo sia l’incontro tra l’approccio del musicista classico con l’inventiva e a volte la informalità presenti nel folk e nel jazz.

Nel 2009 hai realizzato un DVD didattico per la Playgame Music, La chitarra acustica fingerstyle – Gli stili e le tecniche, nel quale passi in rassegna i numerosi elementi del tuo bagaglio musicale: fingerstyle tradizionale, blues, ragtime, walking bass, musica celtica e accordatura DADGAD, fingerstyle rock, stile percussivo e tapping…
Come didatta ho una esperienza piuttosto lunga, e in questo caso la Playgame voleva realizzare una carrellata sul maggior numero di stili dell’acustica. Una sorta di antologia legata alla tecnica, affrontabile dal chitarrista medio e con alcuni brani classici come riferimento. Ho accettato con entusiasmo questa opportunità, i differenti stili danno l’opportunità di inventare il proprio stile personale, ricavando elementi diversi la cui miscela può determinare un linguaggio nuovo, o comunque diverso e originale. Inoltre la conoscenza dello stile di base permette spesso una maggiore comprensione del proprio percorso.

L’anno seguente vede la luce per la Helikonia Factory un tuo nuovo progetto di gruppo, Camera Ensemble.
Sì, insieme a me ci sono Gabriele Coen al clarinetto e sax, Benny Penazzi al violoncello e Andrea Piccioni alle percussioni etniche, tutti musicisti esperti e di livello. Le composizioni sono principalmente mie, e alcune di Coen e di Penazzi. È un gruppo che mi entusiasma, perché coniuga molto bene i vari elementi che mi caratterizzano. Infatti c’è dentro un aspetto classicheggiante da musica da camera (anche se il violoncello di Benny è suonato in una veste molto moderna), un aspetto popolare legato alle percussioni di Andrea, la musica jazz e qualche accenno klezmer da cui provieneGabriele, e tutto il mio vario retroterra. Una miscela composita che definiamo etno-jazz, oppure più semplicemente world music. All’inizio è stato un po’ faticoso trovare un’espressione comune che mettesse insieme tutti questi elementi. Ci siamo dovuti impegnare in modo particolare per articolare l’insieme, calibrare le specificità dei vari strumenti. Era la prima volta che scrivevo e arrangiavo anche per un violoncello, per me è stata una bella prova e sono soddisfatto del risultato. È un’esperienza che ha affinato la mia capacità sia di suonare in un gruppo particolare come questo, sia di arrangiare in modo più compiuto le composizioni.

Nello stesso anno esce anche l’album di spartiti Acoustic Shapes – Disegni melodici ed armonici della chitarra fingerstyle, edito da Carisch, che raccoglie tue composizioni da Zen Bel Jazz del 1999 a Camera Ensemble: come hai organizzato questa antologia e che senso attribuisci al suggestivo titolo?
Acoustic Shapes raccoglie composizioni che rappresentano le differenti direzioni che la chitarra acustica può prendere, e per questo ho attinto a brani che ho scritto in periodi diversi. Ognuno sottolinea un disegno della chitarra; ci sono i brani più “storici” come “La notte che inventarono il rock’n’roll” e il percussivo “A briglie sciolte”, legati a una visione della chitarra più tipicamente fingerstyle. Poi il blues-walkin’ bass di “Mr.Kelly”, ma anche brani in equilibrio tra jazz e musica classica, come “La profezia dell’armeno” e “Omaggio ad Astor”. Il titolo sintetizza di nuovo la mia filosofia di base, la potenzialità della chitarra acustica legata alla trasversalità, la bellezza della melodia che si poggia su strutture armoniche compiute, più o meno complesse, la capacità di disegnare forme diverse ed esplorare ambiti diversi.

Il tuo terzo album per la Acoustic Music Records, La melodia segreta – A Secret Melody del 2011, è in effetti il tuo primo lavoro discografico interamente dedicato alla chitarra sola.
Sì, non ho voluto trascurare la mia posizione di solista di chitarra acustica. L’album raccoglie le mie composizioni per sola chitarra degli ultimi tre anni, sottolineando la mia propensione per la melodia e allo stesso tempo approfondendo la parte di improvvisazione per sola chitarra, un aspetto che continuo a studiare e perfezionare. La parte più fingerstyle è presente in brani come “Martyn”, un sentito omaggio a John Martyn, e “Corsa del sole lungo il profilo delle colline”; mentre la parte più mediterranea è contenuta in brani come “Quién sabe?” e “Dove finiscono le mie dita”, ancora un omaggio – questa volta al grande De André – ripreso da un suo celebre verso: «pensavo è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra». Naturalmente suono buona parte di questo ultimo lavoro nei miei concerti solisti, e a questo proposito vorrei citare la grande soddisfazione di aver aperto il concerto di Ralph Towner all’International Guitar Festival di Rieti a settembre 2011, nella bellissima cornice del teatro Vespasiano e in una bella atmosfera ‘ibrida’ tra chitarra classica e chitarra acustica. Il titolo e il contenuto del Cd alludono alla mia convinzione che le composizioni più che costruite o inventate siano svelate, e che la maturità artistica consiste soprattutto nel prendere coscienza di questo, maturare la capacità di sintonizzarsi con la musica in senso lato, ampliando la propria consapevolezza.

E arriviamo così alla tua ultima nuova esperienza, concretizzata in un disco fresco di stampa
Il nuovo Cd“Tandem Desàrpa” inaugura la mia presenza discografica su Fingerpicking.net, collaborazione della quale sono particolarmente felice, vista la mia amicizia di vecchia data con molti protagonisti di questa importante realtà italiana. E’ un lavoro che mi ha dato grande soddisfazione, alla cui base c’è l’incontro tra il fingerstyle e il jazz attraverso un duo di chitarre formato da me e Maurizio Brunod, che è stato il vero promotore di questo progetto. Maurizio appartiene all’area jazz,suona in diversi gruppi, ed è un bravissimo chitarrista che fa un’importante ricerca sul suono. Suona chitarra classica e acustica, e naturalmente elettrica, usando in quest’ultima una serie di effetti e di peculiarità sonore che lo hanno reso giustamente famoso. Il nostro è stato un incontro molto piacevole anche sul piano umano e dell’amicizia, mentre musicalmente abbiamo in comune l’amore per il jazz europeo, per gruppi e chitarristi storici e fondativi come gli Oregon, Ralph Towner ed Egberto Gismonti. Il titolo Tandem Desàrpa, è una sorta di gioco di parole che accenna al duo (‘Tandem’), mentre ‘Desàrpa’ sembra evocare il suono di molteplici corde raccolte in una simbolica arpa, anche se in realtà è il termine dialettale che indica il ritorno festoso delle mandrie valdostane dai pascoli alti, a fine estate. Il termine mi era piaciuto al di là del significato, e così lo abbiamo tenuto, anche considerando che la registrazione è stata fatta nello studio casalingo di Maurizio, a mezza costa e con vista montagna. Ognuno di noi due ha preparato alcuni brani, scrivendo anche l’arrangiamento per la seconda chitarra, e con gli aggiustamenti del caso abbiamo cercato un incontro tra jazz e fingerstyle. Significativa anche la parte delle improvvisazioni, fino a un brano chiamato “Tandem Impro”, che nasce completamente improvvisato, anche se all’ascolto sembra perfettamente strutturato, una bella soddisfazione. Del resto anche nei concerti dal vivo proponiamo sempre un paio di brani totalmente improvvisati. Un bel modo di lavorare sulla creatività, l’ascolto reciproco, la composizione istantanea.

Insomma ne hai messa di carne al fuoco in questi ultimi cinque anni! Che bilancio faresti di questo tuo ultimo periodo?
È stato un periodo che considero molto proficuo, con alcune collaborazioni che hanno confermato la mia posizione di ‘fingerstyler trasversale’. Intendo con questa espressione la maturazione di un percorso musicale, che mi ha permesso di affiancare al mio repertorio di sola chitarra fingerstyle la possibilità di suonare in modo soddisfacente in relazione ad altri strumenti e in ensemble, mantenendo una tecnica basilarmente fingerstyle, ma con elementi che prevedono un approfondimento dell’armonia e la capacità di improvvisare. Dopo molti anni di studio ed esperienza, mi sento abbastanza soddisfatto di questa mia peculiarità, anche per il riconoscimento che lentamente mi sembra sia arrivato in diversi ambiti. Ho dichiarato molte volte che alla posizione di ‘one man band’ della chitarra acustica, per quanto bella ed entusiasmante, spesso consegue una sorta di rinuncia al dialogo musicale, mentre alcune volte occorre essere un po’ meno chitarristi e un po’ più musicisti. Mi sembra comunque che questo pensiero sia ora fatto proprio da diversi chitarristi.

E in che modo vivi, arrivato a questo punto, il tuo esserti prodigato negli anni ad affiancare alla tua attività di musicista un molteplice impegno come insegnante, organizzatore di concerti con la rassegna ‘Le Acustiche’, giornalista?
Spesso, anche storicamente, il musicista, sia esso classico, jazz o rock, si prodiga anche come didatta, a volte per necessità economica, ma a volte anche perché creare una scuola di pensiero consegue in modo naturale alla musica (ma più in generale all’arte, alla scienza e alla filosofia). In alcuni periodi è faticoso, ti sottrae energia e tempo per i progetti che vuoi portare avanti, altre volte stimola il confronto, ti costringe ad essere aggiornato, migliora la tua stessa conoscenza della musica, attraverso le domande e le necessità degli studenti. La parte giornalistica mi ha insegnato molto sul piano della riflessione, e soprattutto mi ha dato la opportunità di incontrare artisti famosi, di imparare attraverso le loro idee, il loro lavoro, e l’ascolto approfondito della loro musica. A volte ho l’impressione che avrei raggiunto più direttamente alcune mete artistiche evitando queste attività collaterali, ma altre mi sembra che esse abbiano contribuito in modo non secondario a tutto quello che sono riuscito ad esprimere. La veste di organizzatore di eventi come “Le Acustiche” è stata quella più faticosa, perché lì devi misurarti con elementi che all’inizio per un artista sono imponderabili: fare tornare i conti, gestire una serie di cose che hanno molto a che vedere con lo spettacolo e poco con l’arte, gestire le relazioni con gli artisti stessi, nella duplice veste di artista e direttore artistico; non è facile. Ma anche da questa esperienza credo di avere imparato qualcosa sui meccanismi che stanno dietro il concerto, e ho avuto la possibilità di conoscere in modo più completo una serie di chitarristi che stimo e ammiro.

Per finire, una domanda sulla strumentazione: a che punto è la tua strumentazione e in che modo riflette la tua posizione di ‘fingerstyler trasversale’?
Cerco di avere una strumentazione essenziale, la mia Lakewood M32 CP acustica, e a volte in studio anche una classica, sempre Lakewood M32, che uso per brani specifici. La Lakewood è una chitarra versatile con cui mi trovo veramente bene. E’ amplificata dal NanoFlex + NanoMag della Shadow, pick ups di nuova generazione miscelabili, a cui sommo a volte un pick magnetico che monto “al volo” sulla buca; posso dosare a piacere i vari pick ups, e questo è comodo per avere un suono che mantenga le qualità acustiche e resti sufficientemente potente quando suoni in gruppo. Alcuni anni fa ho usato saltuariamente una semiacustica Manne, in quintetto e sestetto, e anche in una orchestra jazz (in questi casi l’acustica è veramente sovrastata dai suoni). Con le nuove possibilità di amplificazione del suono, anche con il gruppo è tutto più gestibile, anche se dal vivo permangono alcune difficoltà soprattutto nel momento degli assolo. Uso sempre il mio ampli SR Jam 400 come monitor oltre a quelli dell’impianto. Questo mi permette di avere il mio suono quasi ovunque. A volte in solo uso il pedale loop Boss RC2, ma con moderazione.

Previsioni per il prossimo futuro?
Portare in concerto il duo Tandem Desàrpa il più possibile, e proseguire l’attività con il Camera Ensemble. Sul piano didattico sto poi scrivendo, anche se con imperdonabile lentezza, un libro sull’improvvisazione per sola chitarra. Su You Tube sono presenti alcune mie esecuzioni di miei brani “classici”, in una veste più moderna e con spazi di improvvisazione, in cui è evidente la mia idea di coniugare parti melodiche e improvvisazione.

Intervista consultabile anche su Fingerpicking.net
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Un libro sull’improvvisazione per chitarra fingerstyle è raro. L’argomento può interessare chiunque suoni lo strumento con le dita, quindi chitarristi acustici e classici, ma anche fingerstyler della chitarra elettrica. Gli studi presentati prendono spunto dal jazz moderno, dal blues, dalla chitarra classica e dalla world music: una miscela che rende la chitarra moderna universale e versatile, legata ai linguaggi ma potenzialmente aperta a tutte le possibili direzioni. Leggi

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