Musica dalle radici etniche e classiche, espresse attraverso la moderna armonia, elementi di jazz, improvvisazione. La "frontiera" del folk e della tradizione viene varcata e innestata sulle modalità della composizione ed esecuzione moderna. Lo scopo è rileggere la propria cultura attraverso una contaminazione viva ed attuale. Quartetto dall’accento cameristico, Camera Ensemble ha una dimensione acustica nella quale i diversi strumenti mantengono una forte identità, ma sono anche capaci di sovrapporsi originando un unico suono stratificato e denso. Le composizioni sono ispirate agli scenari mediterranei, alle suggestioni di culture e arti intraviste o anche solo supposte, attraverso le quali il viaggio diviene a volte interiore, in equilibrio tra sogno e consapevolezza.

Camera Ensemble: quartetto omonimo (Giovanni Palombo, chitarra acustica - Gabriele Coen, clarinetto, sax soprano - Andrea Piccioni, frame drums, perc. - Benny Penazzi, violoncello)
2010 Helikonia Factory Records - CD

1) Viaggio In Corsica (G. Palombo)
2) The Very Last Waltz (G. Coen)
3) Love In Copenaghen, Life in Rome (B. Penazzi)
4) La Profezia dell’Armeno (G. Palombo)
5) Piccola Suite Ellenica: 14.00 a.Ellenikà, b.Egeo, c.Evoè!, d.L’abbraccio di Dioniso (a, b, d: G. Palombo. c: A. Piccioni)
6) Natale a Milano (B. Penazzi)
7) Volver ( G. Coen)
8) Tango Beffardo (G. Palombo)
9) A Briglie Sciolte (G. Palombo)

Per informazioni sul cd ed eventuale sua reperibilità: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

La narrazione di Camera Ensemble si basa su brillanti cellule melodiche trattate con estrema eleganza e raffinatezza. Di notevole interesse e qualità l’apporto che ciascun membro del quartetto offre, sia in termini di accompagnamento sia negli assolo, sempre misurati e profondi (JazzIt

 

Camera Ensemble è un nuovo gruppo che si presenta al pubblico con un lavoro di rilievo. Già l’organico è una sorta di manifesto della via che il gruppo intende perseguire: con Giovanni Palombo alle chitarre, Gabriele Coen al clarinetto e sax soprano, Benny Penazzi al cello, Andrea Piccini alla batteria e percussioni, il combo vuole coniugare suoni antichi e suggestioni moderne in una proposta assolutamente originale dato che tutti i brani sono originali. I quattro hanno scritto composizioni in cui il gusto della linea melodica prevale nettamente su tutto il resto mentre preziosa appare la ricerca sul sound fortemente intriso di quella dimensione cameristica che si ritrova nel titolo sia del gruppo sia del CD. E il risultato, come si accennava all’inizio, è di eccellenza: l’ascoltatore attento può rinvenire tracce di musica etnica, di jazz, di musica improvvisata, il tutto filtrato attraverso la squisita sensibilità di questi artisti che non tendono a stupire quanto ad esprimere compiutamente sé stessi. Così è davvero un piacere ascoltare come il violoncello di Penazzi si sposi magnificamente con i fiati di Coen e la chitarra di Paolombo mentre Piccini provvede a fornire un tappeto ritmico mai soverchiante ma sempre presente e soprattutto di estrema eleganza. Insomma un album di rara eleganza che si fa ascoltare dal primo all’ultimo istante e, soprattutto, che ti fa venir voglia di riascoltarlo ancora una volta.. cosa, credetemi, oggi più unica che rara. (Gerlando Gatto in online-jazz.net, maggio 2010)

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Corde, pelli, ance lasciano passare la loro materica vitalità attraverso le tracce di Camera Ensemble. Suoni acustici, registrati con attenzione e immediatezza, strumenti tradizionali e linee radicate sulle tradizioni musicali delle varie anime popolari e colte, presenti in Europa e sulle coste del Mediterraneo. 
I nove brani del disco proposto da Giovanni Palombo, Gabriele Coen, Benny Penazzi e Andrea Piccioni raccontano un viaggio musicale fatto attraverso le terre e le città ricordate nei titoli - Viaggio in CorsicaLove in Copenaghen, life in RomeLa profezia dell'ArmenoPiccola Suite EllenicaNatale a Milano - e che dalle varie ambientazioni raccoglie suggestioni e influenze. A queste vanno poi aggiunti lo sguardo ai riferimenti portati dalla storia e dagli strumenti dei singoli musicisti, dalla dimensione eurocolta alla musica klezmer, dalle danze alle tradizioni etniche. 
La formazione si pone alla confluenza di tutte questi flussi sonori e la sua voce diviene in modo naturale la sintesi scaturita dal permearsi continuo di ascolti ed esecuzioni nei vari contesti. Camera Ensemble riflette l'idea di lasciarsi attraversare da musiche di diversa provenienza per arrivare alla scrittura di brani e al disegno generale di un quartetto dalle dinamiche ampie e dai colori vividi. Se Giovanni Palombo è l'autore maggiormente presente nei crediti dei brani, si può immaginare come il quartetto abbia uno sviluppo sicuramente collettivo, cosa sottintesa anche dalla denominazione stessa del gruppo: sono brani articolati in maniera calzante alle caratteristiche sonore ed espressive dei quattro musicisti, una formazione inconsueta dai ruoli intercambiabili - soprattutto per quanto riguarda le linee di basso realizzate dall'incontro delle voci del violoncello e della chitarra - e dall'esecuzione fluida e sempre in movimento. 
Altro elemento di convergenza è la visione cameristica dell'ensemble e la disponibilità di tutti e quattro i musicisti a misurarsi con l'assolo e l'improvvisazione: ulteriore punto di incontro tra l'attitudine del jazzista e l'attenzione alle necessità della scrittura, tra il rigore e il rispetto della tradizione e la spinta personalità dei quattro esecutori. 
(Fabio Ciminiera)

 

Il nuovo lavoro del chitarrista romano Giovanni Palombo prosegue sulla strada di quelli che lo hanno preceduto, in particolare Folk Frontiera, ma con a fianco dei nuovi accompagnatori. L'unico denominatore comune (oltre, naturalmente, alla chitarra) rimane il clarinetto, affidato qui a Gabriele Coen (anche al sax soprano) che prende il posto di Gabriele Mirabassi, mentre completano il gruppo Bernardino Penazzi al violoncello e Andrea Piccioni alle percussioni (in prevalenza etniche). Nonostante la ritmica inconsueta, si tratta di una formazione dall'organico più tradizionale di quella che aveva realizzato il precedente lavoro (un trio con vibrafono e fisarmonica, ampliato a quartetto in alcuni brani dall'aggiunta del clarinetto), ma la musica presentata mantiene l'aspetto prevalentemente cameristico, con una impostazione etnica più marcata che in precedenza. Se la musica mediterranea era sempre stata al centro delle composizioni del chitarrista, la presenza di Coen e soprattutto dello straordinario percussionista Andrea Piccioni ne accentua maggiormente le caratteristiche di world fusion.
Il contributo di tutti è fondamentale per l'equilibrio complessivo, e anche se le composizioni di Palombo sono la maggioranza, il disco è essenzialmente un'opera collettiva (accreditato infatti non al solo chitarrista ma al gruppo denominato Camera Ensemble). Anche la filosofia di base è la stessa dei lavori precedenti del chitarrista, condivisa da tutti i compagni: ricercare le radici della propria cultura mediterranea varcando le frontiere del folk e della tradizione attraverso la modernità della composizione e dell'improvvisazione jazz. Particolarmente riusciti in questo senso i brani 'Viaggio in Corsica' e 'La Profezia dell'Armeno,' che ci permettono di apprezzare in pieno le qualità compositive di Palombo. Notevole anche la 'Piccola Suite Ellenica,' mentre Coen contribuisce con un paio di sue composizioni (tra cui la struggente 'Volver'), così come Penazzi. L'ultimo brano, 'A briglie sciolte,' è un cavallo di battaglia del chitarrista nei suoi concerti solistici, in cui mette in mostra tutte le sfaccettature della sua ricca tecnica strumentale; qui si avvale dell'accompagnamento virtuosistico di Piccioni alle percussioni, che ne sottolineano il ritmo.
Decisamente un lavoro riuscito e ricco di spunti, forse il più maturo e completo finora realizzato dal chitarrista, tappa importante lungo un percorso che non ha ancora finito di regalarci emozioni. Valutazione: 4 stelle.

(Mario Calvitti in "All Abaout Jazz")

 

Camera Ensemble è il nome di un progetto musicale, dell'omonima impressione digitale ma, soprattutto, è un luogo d'incontro, un crocevia culturale. Quattro esploratori di genere si ritrovano in un quartetto d'ispirazione cameristica cercando di mediare timbri, tempi e luoghi. I fiati di Gabriele Coen conciliano la celebrazione classica del violoncello ( Bernardino Penazzi ) con il retaggio etnico portato della chitarra acustica ( Giovanni Palombo) e, soprattutto, dei tamburi a cornice di Andrea Piccioni . Gli elementi si amalgamano attraverso una rilettura contemporanea supportata da un'armonia e un estro tipico del jazz mantenendo, comunque, un sound acustico e cameristico. L'ispirazione giunge ai nostri dai luoghi del Mare nostrum , ricchi di fascinazione, suggestivi anche per le loro tradizioni millenarie e le infinite storie che portano seco. Così è il viaggio: la libertà, l'assenza di vincoli che informa le varie composizioni permette la miscellanea che ne scaturisce traghettando verso lidi ove il jazz e la classica sconfinano nella world music . Da ogni buon viaggio spesso deriva una maggiore definizione di sé che, inevitabile, compendia la vastità degli spazi appena conosciuti in un luogo temporalmente e geograficamente circoscritto: tale luogo è il supporto digitale ove è inciso Camera Ensemble e il tempo è quello in cui ciascun ascoltatore lo riproduce. Che dir di più, avviate il player e buon ascolto! Paolo Incani per Jazzitalia

Unpaeseaseicorde.it
Orta S. Giulio - 22 luglio 2013
In un lunedì di luglio già ricco di turisti, UN PAESE A SEI CORDE è tornato a Orta S. Giulio. La piazza è tutta per il CAMERA ENSEMBLE. In questo luogo meraviglioso, che il mondo ci invidia e che l’Amministrazione locale stenta un po’ a valorizzare nel modo adeguato, un folto numero di vacanzieri ha presto riempito le sedie a disposizione, unendosi agli ormai molti affezionati spettatori che seguono la rassegna, concerto dopo concerto. Già un piccolo assaggio di spettacolo a sei corde era stato fornito durante l’aperitivo dalla Music Art Academy di Borgomanero che, con alcuni allievi dei suoi corsi a cui si è aggiunto qualche chitarrista più esperto a dare sostegno, hanno allietato i presenti con alcuni brani per chitarra (e un flauto) e voce. E persino la performance di due giovani artisti di strada - piccola e deliziosa - ha contribuito a tenere calda la piazza (se non fosse bastata la temperatura tropicale) in attesa che gli artisti salissero sul palco. Se già lo scorso anno avevamo avuto modo di ascoltare Giovanni Palombo (S. Maurizio d’Opaglio, 14.08.2012 in duo con Maurizio Brunod), Gabriele Coen, al sax e al clarinetto, Benny Penazzi, al violoncello, e Andrea Piccioni, alle percussioni, sono stati per noi delle vere rivelazioni. La musica di questo gruppo, che loro stessi definiscono etno-jazz, sembra il compendio di tutti i suoni e melodie nati o portati in questa nostra Italia dai vari popoli che l’hanno abitata. E l’effetto sulla piazza è davvero entusiasmante, zanzare a parte. Già il primo brano, Viaggio in Corsica, ci fa capire quanto i quattro siano affiatati e, mentre la gente si scambia preziosi spray repellenti, Giovanni Palombo presenta la formazione e il secondo brano, Folk Frontiera, vero manifesto della loro musica, che trae vita dalla tradizione, superandola allo stesso tempo con l’inserimento di elementi moderni e jazz. Con la chitarra a legare tutto, e Piccioni che contribuisce con percussioni discrete ad un equilibrio perfetto, il clarinetto di Coen dà l’impronta iniziale al pezzo, prima del magnifico assolo del violoncello di Penazzi. È la seconda volta in pochi giorni che incontriamo un violoncello nelle formazioni che si sono esibite nel corso del festival, ed è straordinario rendersi conto all’improvviso di quanto sia versatile questo strumento. Nelle mani di Benny Penazzi, poi, rivela appieno tutta la sua personalità, come dimostra nell’originale intro di Live in Copenhagen, Love in Rome, in cui bastoncini di legno e catenelle aggiungono suoni nuovi. Ma cosa c’entra La Profezia dell’Armeno col comune di Armeno, qui vicino? Non lo sapremo mai, ma il piccolo tango che porta questo titolo è simpatico e questo ci basta. La Piccola Suite Ellenica, a seguire, ci immerge nei colori del Mediterraneo e permette ad Andrea Piccioni di dare prova del suo grande virtuosismo con i tamburi a cornice, in un assolo che scatena grandi applausi a scena aperta da parte di un pubblico entusiasta. Ma questo è UN PAESE A SEI CORDE e, dopo i richiami Klezmer di The Very Last Waltz, con il clarinetto di Coen a farla festosamente da padrone, Palombo si concede un brano tutto per sé per far riposare gli altri musicisti e dar prova della sua maestria con la chitarra. E quando i suoi compagni lo raggiungono di nuovo sul palco per l’ultimo pezzo in programma, lo fanno con qualcosa di scoppiettante che trascina gli applausi dei numerosi spettatori che chiedono il bis. Che i quattro musicisti concedono volentieri, regalando Tango Beffardo, un brano straordinario in cui Andrea Piccioni ci lascia senza fiato coi suoi magici tamburi a cornice che sembrano quasi cantare antiche canzoni portate dal vento del deserto. Ma un altro vento soffia sul lago d’Orta e il cielo si illumina di lampi che si aggiungono ai numerosi flashes dei turisti rimasti fino all’ultima nota di questo bellissimo concerto. Peccato non potersene portare a casa un ricordo, i CD sono esauriti, e allora via, meglio mettersi al riparo da un temporale che, alla fine, passerà lontano.

 

Intervista a Giovanni Palombo pubblicata su All About Jazz

Giovanni Palombo è un chitarrista romano che non ha bisogno di presentazioni tra gli appassionati dello strumento. Attivo da parecchi anni, la sua musica si è progressivamente allontanata dal folk acustico di impianto più tradizionale degli inizi per arrivare a una personale sintesi di jazz e world music che lo ha portato a collaborazioni con musicisti jazz come Francesco Lo Cascio, Gabriele Mirabassi e Gabriele Coen. Le sue composizioni conservano lo stampo melodico tipicamente mediterraneo sviluppandone i temi tramite una scrittura armonicamente ricca e complessa che si presta naturalmente all'interazione con altri strumenti. Molto di più di un semplice chitarrista acustico, Palombo è uno dei migliori esploratori di quei territori musicali di frontiera ricchi di insidie, ma anche di soddisfazioni per chi è capace di impostare il percorso giusto. Lo abbiamo incontrato in occasione della pubblicazione del suo lavoro più recente col quartetto Camera Ensemble, di cui fa parte anche Gabriele Coen, che già in quest'altra intervista ci aveva fornito qualche anticipazione sul progetto.

All About Jazz: Come (e quando) ti sei avvicinato al mondo della chitarra acustica? Quali sono stati i tuoi primi maestri e le fonti di ispirazione?

Giovanni Palombo: La mia formazione è stata un po' ibrida, perché dai 12 anni ho studiato chitarra classica per circa sei anni, ma parallelamente suonavo rock in cantina e in parrocchia (all'epoca era il solo posto accessibile con chitarre elettriche e amplificatori). La chitarra acustica è stata sempre "un'attrazione fatale," perché adoravo CSN&Y, Joni Mitchell, e in generale la musica della West Coast. Intorno ai 20 anni ho iniziato a frequentare il Folk Studio a Roma, dove ho scoperto tanta musica di grande espressività, il folk anglosassone dei Pentangle, Bert Jansch e John Renbourn, John Martyn e Davey Graham, la musica popolare e il blues. Ho ascoltato a lungo tutti i maestri della tradizione, Big Bill Broonzy, Rev. Gary Davis, Robert Johnson, una lista infinita di nomi. Quando è arrivata la Windham Hill ho capito che quella era per me la strada da prendere, piena di spessore musicale e suono acustico. La fortuna di incontrare Stefan Grossman, e studiare con lui alcuni mesi, mi ha definitivamente proiettato verso una dimensione chitarristica direttamente connessa alla tradizione acustica. Ho avuto il piacere di aprire alcuni suoi concerti, e pur continuando a studiare un po' di classica e avendo iniziato con il jazz, ho capito che dovevo arrivare a una mia sintesi dentro una dimensione acustica.

AAJ: I dischi che hai inciso sono sempre stati insieme ad altri musicisti. Cosa ti spinge a cercare la loro compagnia anziché suonare in solo?

G.P.: La chitarra acustica nasconde il rischio del soliloquio, una sorta di isolamento musicale che induce a rapportarsi troppo spesso soltanto con sé stessi, con gli altri chitarristi e con la tradizione musicale chitarristica. Ho sempre pensato che l'incontro tra elementi diversi portasse in generale un maggiore arricchimento, un modo di approfondire la musica più completo. Spesso nei concerti di sola chitarra il pubblico è in buona parte formato da altri chitarristi, o aspiranti tali, o appassionati di chitarra. Ma la musica dovrebbe arrivare a un pubblico più vasto, emozionare chiunque. Non è una regola, la chitarra da sola può fare tantissimo, ma misurarsi nell'esecuzione e nella composizione con altri strumenti è un arricchimento. La musica è anche dialogo, suonando con gli altri si può imparare tanto. Senza nulla togliere ai concerti di sola chitarra, che amo tantissimo.

AAJ: Per rimanere in tema, nella tua discografia non c'è ancora un disco di sola chitarra, nonostante da anni tu sia tra i principali esponenti del fingerstyle nostrano. A cosa è dovuta questa scelta? Hai in programma di colmare la lacuna in futuro?

G.P.: Credo che il mio prossimo CD sarà un lavoro per sola chitarra, ho già tanto materiale nuovo scritto che sto mettendo a punto. Faccio molti concerti di sola chitarra, ma quando è il momento di registrare mi viene sempre voglia di inserire anche altri strumenti, di ospitare musicisti, per ampliare lo scenario della musica che faccio. Sento che ora è il momento di dare voce a un lavoro di sola chitarra, anche se negli ultimi 2 anni in questo ambito sono usciti il Dvd didattico "La chitarra acustica finger style, gli stili e le tecniche" (Playgame Music , 2009), e le raccolte di spartiti "Mediterranean Fingerstyle Compositions" (Acoustic Music Book, 2008), che in pratica sono le trascrizioni del CD Duos Trios Guitar Dialogues (Acoustic Music Records), e il recente "Acoustic Shapes, disegni melodici e armonici della chitarra acustica" (2010, Edizioni Carisch), che raccoglie una selezione scelta delle mie composizioni.

AAJ: C'è qualche altro chitarrista con cui saresti interessato a una collaborazione in duo?

G.P.: Ce ne sono molti, e anche questo è un progetto che prima o poi realizzerò, anche se per il momento sono più interessato ai duetti con altri strumenti.

AAJ: Quello che mi colpisce del tuo lavoro è l'alta qualità delle tue composizioni, dove riesci a far convivere tanti generi diversi, facendo sempre attenzione allo sviluppo melodico e armonico, un po' alla maniera di Towner. Come nascono i tuoi brani? Usi un approccio particolare nella composizione sulla chitarra?

G.P.: Ti ringrazio per questo apprezzamento, e per l'accostamento ideale a uno dei miei riferimenti di sempre. Non è semplice capire e spiegare il percorso compositivo, può nascere in molti modi diversi. Componendo io cerco una visione olistica che sintetizzi aspetti diversi. Spesso procedo da un'intuizione melodica, a volte una piccola intuizione di 4 battute, raccolta nei miei appunti musicali per anni, e poi ritrovata. Non forzo mai una composizione, se sento di essere a un punto morto la lascio andare per riprenderla più avanti. Altre volte nasce un'idea, una frase, un arpeggio, che ti si insinua dentro e continua a risuonare, anche se stai facendo altro. In questo secondo caso sento un'urgenza compositiva che mi spinge a completare la composizione, che ci voglia un'ora o una notte intera. Oppure mi capita di provare una forte emozione legata a un evento, una persona, un luogo, che voglio fermare attraverso la musica. Penso sia una risonanza tra qualcosa che arriva da non so dove e qualcosa che hai dentro, un corto circuito benefico che si realizza attraverso di te. Solo successivamente ragiono sul senso armonico e melodico, e magari sistemo qualcosa, cambio tonalità, modulo e inserisco un bridge. Ma il grosso è intuizione, sintonia, ascolto. Parlo delle composizioni importanti, profonde. Ma ci sono anche scritture più "leggere," esercizi, divertimenti, applicazioni di stili e regole.

AAJ: Tra i tanti generi (folk, jazz, world, rock) che si fondono amalgamandosi nella tua musica, quale pensi che sia l'ingrediente veramente fondamentale, di cui non potresti fare a meno?

G.P.: Bella domanda, direi che gli ingredienti sono cambiati progressivamente con la mia maturazione artistica. Agli inizi era più presente un accento folk e folk-rock, insieme ad elementi di emulazione della musica che mi piaceva. L'interesse successivo per il jazz mi ha progressivamente portato a forme ibride, dove potessero convivere espressione folk, complessità armonica ed improvvisazione jazz. E da buon seguace della scuola ECM ho mirato alla forma più europea o se vogliamo world del jazz, che suggerisce anche musica classica e sonorità etniche. Probabilmente è l'elemento melodico quello che negli anni è restato una costante. Quando scopri una bella melodia sei già avanti, è poesia pura. Puoi scegliere diversi arrangiamenti, ma parti da una base importante.

AAJ: Anche la tua tecnica strumentale integra diverse tecniche chitarristiche, comprese quelle più moderne (tapping e slapping) introdotte da Michael Hedges. Ti è venuto naturalmente, o hai dovuto faticare per trovare l'integrazione?

G.P.: Per quanto ammiri incondizionatamente Michael Hedges, io uso dei tocchi percussivi e di tapping soltanto come un colore che rifinisce la composizione. Voglio dire che a parte un po' di invaghimento legato al fascino di queste tecniche, non le ho mai viste come il nucleo di un processo compositivo. A volte ci si lascia condizionare dall'impatto che hanno sul pubblico, ed è sempre una bella sensazione, uno sfogo dell'ego, ma dal mio punto di vista non perdo mai la consapevolezza che è una sfumatura, una bella sfumatura dei suoni e delle possibilità. Naturalmente non per tutti è così, per alcuni esse sono al centro della ricerca sonora e compositiva.

AAJ: Parlaci del tuo progetto più recente, Camera Ensemble. Come è nato il gruppo, e quali obiettivi vi siete posti nel realizzare questo lavoro? Quale è stato l'apporto dei singoli musicisti al progetto complessivo? Pensi che l'esperienza discografica avrà un seguito?

G.P.: Camera Ensemble è un progetto importante, al momento una fase che ritengo cruciale nell'integrare le mie composizioni e il mio modo di suonare l'acustica in un gruppo. Unitamente al fatto che il gruppo è in sé molto originale, con violoncello (Benny Penazzi), sax-clarinetto (Gabriele Coen), tamburi a cornice e mille altre percussioni (Andrea Piccioni). Tutti musicisti straordinari, sensibili e di grande esperienza. L'obiettivo è quello di integrare, come dicevo prima, diversi aspetti della musica, mantenendo un suono acustico e cameristico. Spaziamo tra suggestioni jazz ed etniche, inseriamo improvvisazione e temi classicheggianti. Io ho composto la maggior parte dei brani, ma ci sono composizioni anche degli altri. Attraverso l'interazione creiamo insieme il suono di ogni brano, e questo è sempre molto importante. Anche se il mercato discografico è praticamente fermo, penso che sia un gruppo che, oltre alle esibizioni, produrrà ancora Cd. Il gruppo è nato dalla mia collaborazione in duo, sia con Gabriele Coen che con Andrea Piccioni. Ho pensato che sarebbe stato bello mettere tutto insieme, unendo anche un violoncello, strumento che mi appassionava da tempo. Gabriele ha proposto Benny Penazzi, che ha una formazione classica ma che da sempre suona anche in ambito jazz, e così siamo partiti.

AAJ: Prima di collaborare con Gabriele Coen avevi già suonato (e inciso) con un altro grande clarinettista, Gabriele Mirabassi. Pensi di riprendere questa esperienza?

G.P.: Quando incontro Gabriele Mirabassi ne parliamo sempre, suonare e incidere insieme è stata una esperienza importante. Gabriele è sempre molto impegnato in numerosi progetti, ma non escludo assolutamente che si possa suonare ancora insieme.

AAJ: La tua attività di insegnante di chitarra, oltre che di musicista, ti pone a stretto contatto con il pubblico della chitarra acustica. C'è ancora interesse da parte dei giovani nei confronti di questo strumento?

G.P.: E' un interesse che prende solo una piccola percentuale dei giovani che si appassionano alla chitarra, perché gli aspetti che coinvolgono maggiormente i giovani sono legati alla canzone e al rock, nelle sue varie sfaccettature. L'acustica in un certo senso è come una chitarra classica moderna, dunque impegnativa. Richiede grande studio e dedizione prima di ripagarti adeguatamente. Inoltre, tranne i casi in cui è suonata nell'ambito della canzone, spesso non favorisce il suonare insieme come può fare una chitarra elettrica, che nella maggior parte dei casi ha bisogno di basso e batteria. L'occasione di ascoltare musica acustica di un certo tipo non è frequente, soprattutto dai media. Perciò è difficile coinvolgere i giovani, ma quelli che iniziano sono sempre molto motivati e costanti.

AAJ: Tu hai suonato spesso (e inciso) anche all'estero, soprattutto in Germania. Che differenze trovi tra la scena chitarristica italiana e quella di altri paesi europei?

G.P.: Mi sembra in generale che ci sia più rispetto per la dedizione e il lavoro che si fa, e anche una maggiore abitudine ad ascoltare musica che richiede attenzione. Penso che questo sia collegato alla attenzione che questi paesi pongono alla educazione musicale nelle scuole dell'obbligo fin dai primi anni.

(Mario Calvitti, agosto 2010)

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