Giovanni Palombo - Fingerstyle World Jazz

recensioni

recensioni (24)

Gerlando Gatto
Online-jazz.net (maggio 2010)
Recensione: Camera Ensemble (Helikonia Factory, 2010)
 

Camera Ensemble è un nuovo gruppo che si presenta al pubblico con un lavoro di rilievo. Già l’organico è una sorta di manifesto della via che il gruppo intende perseguire: con Giovanni Palombo alle chitarre, Gabriele Coen al clarinetto e sax soprano, Benny Penazzi al cello, Andrea Piccini alla batteria e percussioni, il combo vuole coniugare suoni antichi e suggestioni moderne in una proposta assolutamente originale dato che tutti i brani sono originali. I quattro hanno scritto composizioni in cui il gusto della linea melodica prevale nettamente su tutto il resto mentre preziosa appare la ricerca sul sound fortemente intriso di quella dimensione cameristica che si ritrova nel titolo sia del gruppo sia del CD. E il risultato, come si accennava all’inizio, è di eccellenza: l’ascoltatore attento può rinvenire tracce di musica etnica, di jazz, di musica improvvisata, il tutto filtrato attraverso la squisita sensibilità di questi artisti che non tendono a stupire quanto ad esprimere compiutamente sé stessi. Così è davvero un piacere ascoltare come il violoncello di Penazzi si sposi magnificamente con i fiati di Coen e la chitarra di Paolombo mentre Piccini provvede a fornire un tappeto ritmico mai soverchiante ma sempre presente e soprattutto di estrema eleganza. Insomma un album di rara eleganza che si fa ascoltare dal primo all’ultimo istante e, soprattutto, che ti fa venir voglia di riascoltarlo ancora una volta.. cosa, credetemi, oggi più unica che rara.
Trad. di Marco Monte
Akustik Gitarre (marzo 2011)
La leggerezza del sud
Non sono sempre i brani più travolgenti a rimanere nella memoria; a volte sono proprio i più discreti quelli che ti incantano per sempre. Il trio chitarristico che esegue “Anna & Maurizio” somiglia un po’ a De Lucia, DiMeola e McLaughlin. Eppure la sua forza non sta tanto nell’aperto virtuosismo. Piuttosto, è da rintracciarsi nell’ariosità di una composizione che invita chi ascolta a sorvolare un territorio dell’immaginario: mediterraneo ma non rovente; boschivo ma non oscuro; quieto, ma tutt’altro che privo di vita.
Perfino all’interno di questo trio non è il solista a risvegliare il maggior interesse. No, è piuttosto l’interprete discreto che governa un pulsare ritmico ed armonico che scorre omogeneo ma scintillante. Ma chi, come Giovanni Palombo, sa restare sullo sfondo e tessere le fila delicatamente e modestamente, riesce ad esprimere la stessa magia eseguendo lo stesso brano da solo. Esistono incisioni nelle quali, in un fingerstyle accentuato e caratterizzato da un travolgente groove di bassi, Palombo mostra la sua perizia autoproclamandosi ironicamente “inventore del rock’n’roll”. Altre registrazioni documentano la sua capacità di passare allo slapping e al tapping nel bel mezzo di brani malinconicamente latini, o di duellare in ritmica con il percussionista Andrea Piccioni.
È molto difficile catalogare questo artista. Molte delle cose di Palombo hanno un che di mediterraneo, ma il suo suono acustico ricorda a volte John Renbourn, mentre a volte sembra affacciarsi Chick Corea e, nel brano successivo, si respira lo spirito della ECM: musica moderna europea combinata con un jazz etereo. Le basi di tutto ciò risalgono all’infanzia del musicista: dopo aver scoperto una vecchia chitarra in casa di amici Giovanni, che ha undici anni, inizia a prendere lezioni di chitarra classica da un parente insegnante di musica; contemporaneamente suona musica rock e underground con gli amici finché, a 20 anni, scopre “che la chitarra acustica può costituire un mix tra chitarra classica ed elettrica” e può metterle in collegamento.
Che lavoro vuoi fare? Il musicista!
All’epoca circola nell’ambiente del Folkstudio romano, si interessa al revival folk dei chitarristi acustici britannici e si dedica intensamente al jazz. “Ho sempre avuto in mente questo mix, anche se non riuscivo a realizzarlo. Ma ho continuato ad evolvermi sulle basi iniziali”, afferma. Non ha mai studiato musica. Prende alcune ore di lezioni private, frequenta i workshop della Berklee School of Music in Italia, suona insieme ai jazzisti contemporanei che passano in tournée. Palombo carpisce tutto quello che può senza perdere una sola occasione. Intanto si laurea in astrofisica, “ma solo per curiosità personale e per interesse filosofico. All’epoca sapevo già che non avrei mai lavorato in questo campo, mi sono laureato un po’ per dare soddisfazione ai miei genitori.” Su un modulo anonimo all’inizio dell’università, alla voce “che mestiere vuoi fare?” scrive: “musicista”. Ancora oggi si domanda se il professore abbia capito di quale studente si trattasse.
Da Towner a Hedges e Scofield
Ormai ha dimenticato quasi tutto quello che ha appreso sgobbando sui libri di studio. “Uno sforzo simile e contemporaneamente la musica: pazzesco!”, dice oggi ridendo, anche se non lo considera tempo perso: “Credo che le scienze naturali aprano lo spirito e possano portare a un atteggiamento più informato.” Anche nella musica? “Difficile da dire”. In ogni caso ha realizzato un progetto musicale sul tema dell’astronomia in occasione dell’Anno Internazionale dell’Astronomia e sa che una sua collega ha trasformato in musica il suono delle stelle registrato magneticamente. “E poi uno dei miei professori dirigeva un coro, mentre ce n’era un altro che era un eccellente violinista. Gli scienziati spesso sono buoni musicisti; il bassista jazz Gary Peacock è chimico, il chitarrista dei Queen Brian May è astrofisico anche lui.”
Nomi chiave che riportano alla musica di Palombo. Peacock, in quanto bassista del trio di Keith Jarrett, simboleggia la musica ECM, May, in quanto musicista rock, rappresenta l’influsso di nomi come Jimi Hendrix. L’influenza maggiore è però quella esercitata su di lui da un americano dallo stile quasi inafferrabile che ha studiato a Vienna: Ralph Towner. Un altro musicista e libero pensatore che potrebbe aver contribuito alla formazione del suo stile è il brasiliano Egberto Gismonti, inoltre l’artista romano ama lo stile percussivo di Michael Hedges, diventato anch’esso un elemento stilistico della sua musica. Palombo osserva intensamente svariati stili musicali, ad esempio il nuovo flamenco, che si apre ad altre influenze; nel jazz cita tra i suoi punti di riferimento Pat Metheny, John Abercrombie, John Scofield e Bill Frisell. In questo modo chiarisce che per lui il jazz è ben oltre lo swing da bar e il cool.
“La mia musica è la prosecuzione di tutte queste radici. Ma amo tanto il suono della chitarra acustica che si può dire che la mia musica sia organizzata intorno a questo suono, sia nei miei lavori da solista che in duo, in trio e in altri progetti.” A partire dagli anni Ottanta incide album di sola chitarra, negli anni Novanta va in tournée con Stefan Grossman e con chitarristi italiani. Quando, poco prima del 2000, conosce Peter Finger, incide altri album con la Acoustic Music che gli consentono di realizzare progetti in cui può esprimersi in primo piano come chitarrista fingerstyle ma in cui può anche dare espressione ad ambizioni musicali di più ampio respiro. Durante questi sviluppi l’artista, che vive a Roma e svolge attività di insegnante a tempo pieno in una scuola di musica, scrive due metodi per chitarra fingerstyle e compone musica per il teatro e per il cinema, non ha un attimo di respiro.
Cultura musicale italiana e strumenti
Nelle sue composizioni Palombo presta particolare attenzione alla cantabilità delle linee melodiche, un fatto che trova rispondenza nella cultura musicale italiana in generale e che anche nella sua musica ha un ruolo preponderante. Con il suo collega Franco Morone ha in comune lo sguardo rivolto alle proprie radici, senza rinunciare al suono acustico di tradizione americana. Non sa spiegare perché non utilizzi corde in nylon (l’unica ragione sembra essere l’insoddisfacente suono amplificato della chitarra classica), e mentre lo dice esegue un passaggio classico che sulla sua Lakewood suona splendido. A differenza di Franco Morone, però, Palombo ha percorso la via del folklore italiano insieme a piccoli ensemble. “Come in Towner mi piace suonare il brano sulla chitarra, ma al contempo sento la necessità di udire le voci di altri strumenti, ad esempio la fisarmonica o il sax, e vorrei entrare in dialogo con loro.”
Un’altra cosa che lo distingue da Franco Morone è la sua estesa tendenza a improvvisare. In Morone i pezzi sono arrangiati da cima a fondo, mentre Giovanni Palombo improvvisa anche nel fingerstyle: una sfida di altissimo livello tecnico e mentale. “So di non aver espresso ancora tutto il mio potenziale, ma improvvisare mi piace così tanto che ci lavoro molto”, afferma. A volte ricorre a un looper. “Ho imparato molto da chitarristi jazz come Tuck Andress e Joe Pass, tra l’altro la capacità di unire accordi e linee solistiche. Utilizzo i bassi in modo da integrare le figure create sulle prime corde. Ma per arrivarci bisogna lavorare molto. E può capitare che una volta davanti al pubblico non tutto funzioni al cento per cento...”
Problemi che sono però compensati dalla sua capacità straordinaria di suonare in ensemble e dalle sue doti di compositore. Il brano “Viaggio in Corsica” esprime il potenziale lirico della sua melodia già quando l’autore di questo piccolo capolavoro lo esegue da solo sullo strumento con fluidità fenomenale. E tuttavia, quando questo brano viene eseguito da un ensemble, il suo tema vivace acquista come una seconda identità e l’ascoltatore si stropiccia gli occhi - e le orecchie - incredulo: è questo il momento in cui il brano esprime al meglio quel mix di musica classica, folk e jazz che lo caratterizza. Melodia italiana e complessità compositiva. Improvvisazione e armonie di fonte diversa. Questo è in poche parole il progetto musicale di Giovanni Palombo.

Fabrizio Ciccarelli
Jazzitalia
Folk Frontiera di Giovanni Palombo
Chitarrista e compositore romano, di cui piace ricordare la partecipazione all'interessante progetto world "Zen Bel Jazz" e a quello più smooth "Albacustica", attivo nell'Acoustic Trio da 4 anni assieme ai due abili strumentisti Feliciano Zacchia e Francesco Lo Cascio, Giovanni Palombo presenta nel suo "Folk frontiera" dieci brani densi di sensibilità espressiva, ricchi di una sintassi musicale polimorfa tendente ad esaltarne il cromatismo, per le tante incursioni meditative fortemente chiaroscurali e per l'indubbia sensibilità di fondo che sembra pervadere l'album in toto.
Il suo, come sappiamo, è un fingerstyle decisamente proteso alla costruzione di melodie ampie, di architetture sonore improntate tanto all'improvvisazione jazzistica propriamente intesa quanto alla coloritura di trame latine, etniche, folk, persino soft rock, tanto risulta vasta la cultura musicale del Nostro.
Può dunque giungere a chi ascolta un paesaggio espressivo composito, un mèlange stilistico connotato da un pathos intenso, da una passionalità dell'anima rarefatta, coinvolgente tanto più l'autore Palombo libera la propria intuizione in fraseggi lievi ed impressionistici, talvolta notturni nei cantabili – specie in quelli di matrice quasi bachiana – che pongono in luce una capacità introspettiva al di fuori di ogni déjà écouté. Di questo, prova ne sia "Il treno di Madrid", in memoria dell'attentato che tutti ricordiamo.
L'interplay fra i tre assume a volte movenze che paiono scandire spontanei rimandi a quel maestro dell'approccio armonico che fu Astor Piazzolla, equilibrando nuances sfuggenti e delicate, sospese in un dialogo morbido, "sibilante" si sarebbe tentati di dire, poetico e fluido nell'esposizione.
Il disegno d'assieme è immediato, segnato da un tocco di evidente personalità, non di rado "virtuoso" ma mai fine a se stesso; l'ardore introspettivo sembra maturo, svelato nei tratti più intimistici, come in "Profezia dell'Armeno" o nel brano che dà titolo all'opera: note che fluiscono spontanee, proposte con garbo e precisa personalità artistica, specie quando Lo Cascio tesse le sue forme dissolventi in gradevole dialogo con il clarinetto di Gabriele Mirabassi o con l'accordion di Zacchia.
Per ogni composizione il tempo dell'ascolto può dilatarsi piacevolmente, lirico e carezzevole, fino a "Lunare", coerente conclusione di questa "frontiera" dai limiti sconosciuti, un suono del ricordo una volta ancora senza tempo. 

Fonte: jazzitalia.net
gi. mic.
Alias (supplemento settimanale de "il manifesto"), pag. 13
MAURIZIO BRUNOD/GIOVANNI PALOMBO TANDEM DESÀRPA (Fingerpicking.net)
La produzione del coleader e chitarrista del quartetto Enten Eller di recente si diversifica tra collaborazioni prestigiose (John Surman) e dischi innovativi con ensemble sperimentali come Kandinskij, in trio con Marcella Carboni (arpa) e Massimo Barbiero (percussioni), oppure in questo duo con un altro chitarrista, ma in fingerstyle: l'accostamento tra un jazzman quasi free e un virtuoso country-folk crea inedite soluzioni da camera, memori forse di Eddie Lang e Lonnie Johnson, in un dialogo anche strumentistico tra classica ed elettrica, scritto e improvvisato, moderno e popolare.

Gianni Montano
Jazzitalia
Tandem Desàrpa - Maurizio Brunod e Giovanni Palombo
Quello che conta principalmente, quando si suona in coppia, è il rapporto umano che intercorre fra i musicisti. In questo "tandem" si concretizza una rimarchevole unità di intenti e di obiettivi fra due chitarristi di diversa storia personale e tendenza, accomunati, però, da stima e considerazione reciproche. In sovrappiù si registra una sana curiosità per il background culturale del partner, da parte di ognuno dei due artisti, tanto da far scaturire una notevole complicità, palpabile nell'ascolto delle varie tracce del disco.
Giovanni Palombo è certamente un virtuoso del fingerstyle, ma non fa sfoggio della sua tecnica, preferendo far vibrare il suo strumento acustico con uno stile di tipo melodico, rotondo, mediterraneo, di chiara origine controllata.
Maurizio Brunod è più appuntito, aguzzo nei toni, più nervoso, sempre rispetto al compagno di avventura. Quando suona la chitarra elettrica produce note lunghe, spesso, confezionando tappeti sonori o prende assoli lirici, ma di un lirismo asciutto, contenuto. Anche quando il dialogo è in acustico, si differenzia da Palombo per una maggior propensione alla sintesi, al fraseggio stretto, a un discorso più essenziale.
Il cd si apre con una spruzzata di aromi latini, come retroterra, in "Carousel" e prosegue con la ballad "Bellosguardo", dotata di un bel tema arioso, degno della buona e vecchia tradizione della canzone napoletana. "Tandem impro" dimostra come si compenetri il linguaggio dei due musicisti pure in una situazione svincolata da uno spartito. La delicata "Portami con te" si segnala per l'intervento "fisarmonicistico" di Brunod, che con il pedale ottiene questo effetto molto musicale, adatto al brano. "La lunga attesa" è tutta un ricamo delicato su un motivo ancora una volta soffice e aggraziato, opera stavolta del valdostano. "Gaucho" si caratterizza per un inseguimento fra le due chitarre su un motivo che scorre via veloce, ricordando un tango argentino in salsa nostrana.
"Invocazione e danza" è il vertice dell'intero album. Comincia con un'introduzione pensosa e tranquilla di Palombo. Si anima con l'intervento della chitarra elettrica, che porta echi country e suoni di frontiera. A questo punto il musicista campano si dedica ad un accompagnamento ritmico vivace, arricchito con colpi di mano sulla cassa armonica del suo strumento. Alla fine ritorna la calma con il ritornello che si riaffaccia in bella evidenza.
"Sirio up and down" è cosparsa di suoni elettrici. E' un pezzo rock lento, non memorabile.
"Milonga del nord" ci conferma la passione per la musica sudamericana da parte di Brunod. Qui tutto è delocalizzato, ma la malinconia di certe atmosfere lontane, di un altro emisfero, si avverte pienamente. Ancora gli arpeggi conseguenti di Palombo a seguire la melodia distorta e manipolata di Brunod in "Nora", come la maggior parte dei brani, su tempo lento.
Un colloquio alla pari è presente in "Stella del mattino", dove è tutto un botta e risposta, senza una vera definizione dei ruoli, chi si occupa del canto e chi viene dietro, come in altre tracce. Il tema è solare, come da titolo e i due comunicano interamente la gioia di suonare insieme.
Chiude il disco "Te vojo bene assaje", un super-classico, arrangiata con sincera devozione da Palombo, che la infioretta di abbellimenti, di microvariazioni, prima di cantarla sottovoce, come sottotono, con deferenza, si approssima l'altra chitarra per non rompere l'incanto. La tradizione non va mai tradita...
Non c'è da arrampicarsi sugli specchi per trovare una qualifica precisa a questa musica. E' una bella e gradevole serie di motivi che la coppia di signori chitarristi porge con garbo, in modo prevalentemente soft, senza strafare. Ed è un piacere ascoltarla.
 
Fonte: Jazzitalia
Andrea Carpi
Chitarra Acustica n. 3, 2012, pag. 30-33
Un fingerstyler trasversale – Intervista a Giovanni Palombo



Dopo il suo esordio nel 1985 con la partecipazione all’antologia Guitaròma della Lizard di Giovanni Unterberger, Giovanni Palombo ha intrapreso un lungo itinerario per ampliare i confini del proprio fingerstyle chitarristico in ambiti differenti, in particolare affiancando all’attività solistica la formazione di gruppi musicali diversi e piccoli ensemble strumentali: dagli Albacustica a UnoDuo, da Zen Bel Jazz al suo Acoustic Trio e a varie formazioni con musicisti come Feliciano Zacchia, Rosario Jermano, Francesco Lo Cascio, Ettore Fioravanti, Gabriele Mirabassi. In questi ultimi anni è stato poi particolarmente attivo e lo abbiamo trovato alle prese con la pubblicazione di due album di spartiti, un video didattico, la registrazione di un album con il nuovo gruppo Camera Ensemble, il completamento del trittico per la Acoustic Music Records con il suo primo disco interamente solistico, La melodia segreta – A Secret Melody, e infine l’avvio di un nuovo sodalizio con il chitarrista jazz Maurizio Brunod, che ha portato alla realizzazione del recentissimo Tandem Desàrpa. In questa intervista ci racconta come l’insieme di questi dialoghi musicali abbia permesso la maturazione di una sua dimensione peculiare, che lui ama definire di ‘fingerstyler trasversale’.

Dopo i primi due dischi con la Acoustic Music Records, Duos & Trios – Guitar Dialogues del 2003 e Folk frontiera del 2006, entrambi incentrati prevalentemente sull’interazione tra chitarra acustica e altri strumenti, sei uscito nel 2008 con l’album di spartiti Mediterranean Fingerstyle Compositions – Transcriptions for Solo Guitar from the CD ‘Duos & Trios’. Nella “Presentazione” scrivi che «potenzialmente ogni brano si adatta alla esecuzione solista o di ensemble con nessuna o poche modifiche»: come vedi il rapporto tra la chitarra sola e i gruppi strumentali con chitarra?
L’idea della chitarra acustica che, senza perdere la sua potenzialità, fosse inserita in un contesto di gruppo, è sempre stata per me una meta da raggiungere. Forse per la mia formazione, la chitarra sola da un lato e il divertimento in gruppo “in cantina” dall’altro, o forse per la grande impressione che intorno ai venti anni mi fecero i Pentangle, e successivamente gli Oregon di Ralph Towner. All’epoca il grande problema era avere una amplificazione di qualità decente, suonare l’acustica o la classica in gruppo con velleità solistiche era un’ambizione che pochi si sognavano di avere. La scommessa era quella di inventare un ruolo della chitarra nell’arrangiamento d’insieme, che non si limitasse al classico strumming di accompagnamento o a qualche frase pentatonica. Inoltre si trattava anche di trovare le persone giuste con cui sperimentare questi suoni, perché le sfumature da cogliere erano molto maggiori che non quelle da “plug and play” del rock, del blues o del pop. Ripeto però che gli esempi di John Renbourn e di Ralph Towner mi hanno sempre ispirato. Mi mostravano che si può essere solisti e, usando basilarmente la stessa tecnica, suonare in gruppo. Occorre un bagaglio più ampio di armonia, uno slancio inventivo rispetto alla relazione con gli altri strumenti, un occhio attento alla dinamica e alle sfumature, il piacere della condivisione con gli altri strumenti. Trovo che questo sia l’incontro tra l’approccio del musicista classico con l’inventiva e a volte la informalità presenti nel folk e nel jazz.

Nel 2009 hai realizzato un DVD didattico per la Playgame Music, La chitarra acustica fingerstyle – Gli stili e le tecniche, nel quale passi in rassegna i numerosi elementi del tuo bagaglio musicale: fingerstyle tradizionale, blues, ragtime, walking bass, musica celtica e accordatura DADGAD, fingerstyle rock, stile percussivo e tapping…
Come didatta ho una esperienza piuttosto lunga, e in questo caso la Playgame voleva realizzare una carrellata sul maggior numero di stili dell’acustica. Una sorta di antologia legata alla tecnica, affrontabile dal chitarrista medio e con alcuni brani classici come riferimento. Ho accettato con entusiasmo questa opportunità, i differenti stili danno l’opportunità di inventare il proprio stile personale, ricavando elementi diversi la cui miscela può determinare un linguaggio nuovo, o comunque diverso e originale. Inoltre la conoscenza dello stile di base permette spesso una maggiore comprensione del proprio percorso.

L’anno seguente vede la luce per la Helikonia Factory un tuo nuovo progetto di gruppo, Camera Ensemble.
Sì, insieme a me ci sono Gabriele Coen al clarinetto e sax, Benny Penazzi al violoncello e Andrea Piccioni alle percussioni etniche, tutti musicisti esperti e di livello. Le composizioni sono principalmente mie, e alcune di Coen e di Penazzi. È un gruppo che mi entusiasma, perché coniuga molto bene i vari elementi che mi caratterizzano. Infatti c’è dentro un aspetto classicheggiante da musica da camera (anche se il violoncello di Benny è suonato in una veste molto moderna), un aspetto popolare legato alle percussioni di Andrea, la musica jazz e qualche accenno klezmer da cui provieneGabriele, e tutto il mio vario retroterra. Una miscela composita che definiamo etno-jazz, oppure più semplicemente world music. All’inizio è stato un po’ faticoso trovare un’espressione comune che mettesse insieme tutti questi elementi. Ci siamo dovuti impegnare in modo particolare per articolare l’insieme, calibrare le specificità dei vari strumenti. Era la prima volta che scrivevo e arrangiavo anche per un violoncello, per me è stata una bella prova e sono soddisfatto del risultato. È un’esperienza che ha affinato la mia capacità sia di suonare in un gruppo particolare come questo, sia di arrangiare in modo più compiuto le composizioni.

Nello stesso anno esce anche l’album di spartiti Acoustic Shapes – Disegni melodici ed armonici della chitarra fingerstyle, edito da Carisch, che raccoglie tue composizioni da Zen Bel Jazz del 1999 a Camera Ensemble: come hai organizzato questa antologia e che senso attribuisci al suggestivo titolo?
Acoustic Shapes raccoglie composizioni che rappresentano le differenti direzioni che la chitarra acustica può prendere, e per questo ho attinto a brani che ho scritto in periodi diversi. Ognuno sottolinea un disegno della chitarra; ci sono i brani più “storici” come “La notte che inventarono il rock’n’roll” e il percussivo “A briglie sciolte”, legati a una visione della chitarra più tipicamente fingerstyle. Poi il blues-walkin’ bass di “Mr.Kelly”, ma anche brani in equilibrio tra jazz e musica classica, come “La profezia dell’armeno” e “Omaggio ad Astor”. Il titolo sintetizza di nuovo la mia filosofia di base, la potenzialità della chitarra acustica legata alla trasversalità, la bellezza della melodia che si poggia su strutture armoniche compiute, più o meno complesse, la capacità di disegnare forme diverse ed esplorare ambiti diversi.

Il tuo terzo album per la Acoustic Music Records, La melodia segreta – A Secret Melody del 2011, è in effetti il tuo primo lavoro discografico interamente dedicato alla chitarra sola.
Sì, non ho voluto trascurare la mia posizione di solista di chitarra acustica. L’album raccoglie le mie composizioni per sola chitarra degli ultimi tre anni, sottolineando la mia propensione per la melodia e allo stesso tempo approfondendo la parte di improvvisazione per sola chitarra, un aspetto che continuo a studiare e perfezionare. La parte più fingerstyle è presente in brani come “Martyn”, un sentito omaggio a John Martyn, e “Corsa del sole lungo il profilo delle colline”; mentre la parte più mediterranea è contenuta in brani come “Quién sabe?” e “Dove finiscono le mie dita”, ancora un omaggio – questa volta al grande De André – ripreso da un suo celebre verso: «pensavo è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra». Naturalmente suono buona parte di questo ultimo lavoro nei miei concerti solisti, e a questo proposito vorrei citare la grande soddisfazione di aver aperto il concerto di Ralph Towner all’International Guitar Festival di Rieti a settembre 2011, nella bellissima cornice del teatro Vespasiano e in una bella atmosfera ‘ibrida’ tra chitarra classica e chitarra acustica. Il titolo e il contenuto del Cd alludono alla mia convinzione che le composizioni più che costruite o inventate siano svelate, e che la maturità artistica consiste soprattutto nel prendere coscienza di questo, maturare la capacità di sintonizzarsi con la musica in senso lato, ampliando la propria consapevolezza.

E arriviamo così alla tua ultima nuova esperienza, concretizzata in un disco fresco di stampa
Il nuovo Cd“Tandem Desàrpa” inaugura la mia presenza discografica su Fingerpicking.net, collaborazione della quale sono particolarmente felice, vista la mia amicizia di vecchia data con molti protagonisti di questa importante realtà italiana. E’ un lavoro che mi ha dato grande soddisfazione, alla cui base c’è l’incontro tra il fingerstyle e il jazz attraverso un duo di chitarre formato da me e Maurizio Brunod, che è stato il vero promotore di questo progetto. Maurizio appartiene all’area jazz,suona in diversi gruppi, ed è un bravissimo chitarrista che fa un’importante ricerca sul suono. Suona chitarra classica e acustica, e naturalmente elettrica, usando in quest’ultima una serie di effetti e di peculiarità sonore che lo hanno reso giustamente famoso. Il nostro è stato un incontro molto piacevole anche sul piano umano e dell’amicizia, mentre musicalmente abbiamo in comune l’amore per il jazz europeo, per gruppi e chitarristi storici e fondativi come gli Oregon, Ralph Towner ed Egberto Gismonti. Il titolo Tandem Desàrpa, è una sorta di gioco di parole che accenna al duo (‘Tandem’), mentre ‘Desàrpa’ sembra evocare il suono di molteplici corde raccolte in una simbolica arpa, anche se in realtà è il termine dialettale che indica il ritorno festoso delle mandrie valdostane dai pascoli alti, a fine estate. Il termine mi era piaciuto al di là del significato, e così lo abbiamo tenuto, anche considerando che la registrazione è stata fatta nello studio casalingo di Maurizio, a mezza costa e con vista montagna. Ognuno di noi due ha preparato alcuni brani, scrivendo anche l’arrangiamento per la seconda chitarra, e con gli aggiustamenti del caso abbiamo cercato un incontro tra jazz e fingerstyle. Significativa anche la parte delle improvvisazioni, fino a un brano chiamato “Tandem Impro”, che nasce completamente improvvisato, anche se all’ascolto sembra perfettamente strutturato, una bella soddisfazione. Del resto anche nei concerti dal vivo proponiamo sempre un paio di brani totalmente improvvisati. Un bel modo di lavorare sulla creatività, l’ascolto reciproco, la composizione istantanea.

Insomma ne hai messa di carne al fuoco in questi ultimi cinque anni! Che bilancio faresti di questo tuo ultimo periodo?
È stato un periodo che considero molto proficuo, con alcune collaborazioni che hanno confermato la mia posizione di ‘fingerstyler trasversale’. Intendo con questa espressione la maturazione di un percorso musicale, che mi ha permesso di affiancare al mio repertorio di sola chitarra fingerstyle la possibilità di suonare in modo soddisfacente in relazione ad altri strumenti e in ensemble, mantenendo una tecnica basilarmente fingerstyle, ma con elementi che prevedono un approfondimento dell’armonia e la capacità di improvvisare. Dopo molti anni di studio ed esperienza, mi sento abbastanza soddisfatto di questa mia peculiarità, anche per il riconoscimento che lentamente mi sembra sia arrivato in diversi ambiti. Ho dichiarato molte volte che alla posizione di ‘one man band’ della chitarra acustica, per quanto bella ed entusiasmante, spesso consegue una sorta di rinuncia al dialogo musicale, mentre alcune volte occorre essere un po’ meno chitarristi e un po’ più musicisti. Mi sembra comunque che questo pensiero sia ora fatto proprio da diversi chitarristi.

E in che modo vivi, arrivato a questo punto, il tuo esserti prodigato negli anni ad affiancare alla tua attività di musicista un molteplice impegno come insegnante, organizzatore di concerti con la rassegna ‘Le Acustiche’, giornalista?
Spesso, anche storicamente, il musicista, sia esso classico, jazz o rock, si prodiga anche come didatta, a volte per necessità economica, ma a volte anche perché creare una scuola di pensiero consegue in modo naturale alla musica (ma più in generale all’arte, alla scienza e alla filosofia). In alcuni periodi è faticoso, ti sottrae energia e tempo per i progetti che vuoi portare avanti, altre volte stimola il confronto, ti costringe ad essere aggiornato, migliora la tua stessa conoscenza della musica, attraverso le domande e le necessità degli studenti. La parte giornalistica mi ha insegnato molto sul piano della riflessione, e soprattutto mi ha dato la opportunità di incontrare artisti famosi, di imparare attraverso le loro idee, il loro lavoro, e l’ascolto approfondito della loro musica. A volte ho l’impressione che avrei raggiunto più direttamente alcune mete artistiche evitando queste attività collaterali, ma altre mi sembra che esse abbiano contribuito in modo non secondario a tutto quello che sono riuscito ad esprimere. La veste di organizzatore di eventi come “Le Acustiche” è stata quella più faticosa, perché lì devi misurarti con elementi che all’inizio per un artista sono imponderabili: fare tornare i conti, gestire una serie di cose che hanno molto a che vedere con lo spettacolo e poco con l’arte, gestire le relazioni con gli artisti stessi, nella duplice veste di artista e direttore artistico; non è facile. Ma anche da questa esperienza credo di avere imparato qualcosa sui meccanismi che stanno dietro il concerto, e ho avuto la possibilità di conoscere in modo più completo una serie di chitarristi che stimo e ammiro.

Per finire, una domanda sulla strumentazione: a che punto è la tua strumentazione e in che modo riflette la tua posizione di ‘fingerstyler trasversale’?
Cerco di avere una strumentazione essenziale, la mia Lakewood M32 CP acustica, e a volte in studio anche una classica, sempre Lakewood M32, che uso per brani specifici. La Lakewood è una chitarra versatile con cui mi trovo veramente bene. E’ amplificata dal NanoFlex + NanoMag della Shadow, pick ups di nuova generazione miscelabili, a cui sommo a volte un pick magnetico che monto “al volo” sulla buca; posso dosare a piacere i vari pick ups, e questo è comodo per avere un suono che mantenga le qualità acustiche e resti sufficientemente potente quando suoni in gruppo. Alcuni anni fa ho usato saltuariamente una semiacustica Manne, in quintetto e sestetto, e anche in una orchestra jazz (in questi casi l’acustica è veramente sovrastata dai suoni). Con le nuove possibilità di amplificazione del suono, anche con il gruppo è tutto più gestibile, anche se dal vivo permangono alcune difficoltà soprattutto nel momento degli assolo. Uso sempre il mio ampli SR Jam 400 come monitor oltre a quelli dell’impianto. Questo mi permette di avere il mio suono quasi ovunque. A volte in solo uso il pedale loop Boss RC2, ma con moderazione.

Previsioni per il prossimo futuro?
Portare in concerto il duo Tandem Desàrpa il più possibile, e proseguire l’attività con il Camera Ensemble. Sul piano didattico sto poi scrivendo, anche se con imperdonabile lentezza, un libro sull’improvvisazione per sola chitarra. Su You Tube sono presenti alcune mie esecuzioni di miei brani “classici”, in una veste più moderna e con spazi di improvvisazione, in cui è evidente la mia idea di coniugare parti melodiche e improvvisazione.

Intervista consultabile anche su Fingerpicking.net
Quenántropo
música adentro…

En acústico noviembre 25, 2011
A pesar de la confusión asociada al valor tautológico de su adjetivo, se le llama “guitarra acústica” a la guitarra con caja de resonancia y cuerdas metálicas. Giovanni Palombo es, ya desde tiempo, una referencia en Italia y en Europa para quien busca experimentación y expresión entre las cuerdas de acero. Promotor y organizador de “Las acústicas”, encuentros dedicados a éste tipo de guitarra con artistas como Ralph Towner, Antonio Forcione, Peter Finger, Paolo Giordano, Pierre Bensusan, Franco Morone, Beppe Gambetta. Treinta años de enseñanza en la escuela de música CIAC en Roma, mezclando jazz y rock, y recientemente formando una Orquesta Acústica de once elementos. Muchos discos y conciertos sólo con su guitarra. También el ultimo CD sólo lleva seis cuerdas: La Melodia Segreta, el tercer disco para la casa alemana Acoustic Music Records. Pero muchos dúos, con voz, percusiones, saxo, o el reciente proyecto Tandem, con dos guitarras. Y porqué no un cuarteto con guitarra, saxo-clarinete, chelo, percusiones: es el Camera Ensemble (Helikonia Records). Y una reciente contribución didáctica, “Acoustic Shapes” (Carisch). Patrocinado por Lakewood. Le vamos a preguntar de contarnos algo acústico … Como has llegado a la guitarra acústica? Empecé a estudiar guitarra clásica a los 12 años, pero ya estábamos organizando grupos musicales en la parroquia: a principio de los ’70 era el único lugar donde podías utilizar guitarras eléctricas, amplificadores, batería, etc. Alrededor de los 18 años, ya con cierto recorrido técnico, empecé a centrarme sobre la guitarra acústica, un punto de encuentro de estilos diferentes. Podía tocar “finger-style”, es decir con dedos y sin púa, y encontrar sonoridades más cercanas a la música moderna, entonces sobre todo blues, rock, y música de la costa oeste americana. Cuando descubrí músicos como John Renbourn, Bert Jansch, Davey Graham, grupos como Pentangle, y luego Michael Hedges y Alex de Grassi, el jazz acústico de Ralph Towner y los Oregon, o Egberto Gismonti y la semi-acústica de Joe Pass, el juego estaba hecho. Quería construir una dimensión personal con la acústica, inspirándome en toda esta música, y utilizando una técnica derivada de la guitarra clásica y del blues. Evidentemente no escuchaba solo a guitarristas, sino a muchos otros músicos que tienen profundidad y espesor, y que te empujan arriba, desde Astor Piazzola hasta Jan Garbarek, desde Dave Holland hasta Herbie Hanckock. Que particularidades y posibilidades ofrece la guitarra acústica comparada con otros instrumentos? Primero el sonido. Si te gustan las sonoridades acústicas, los muchos matices que puedes obtener te ponen en una situación de descubrimiento continuo, sobretodo con las posibilidades actuales de electrificación. Creo que la guitarra acústica pueda ser el cruce entre estilos diferentes, desde los más tradicionales hasta los más modernos, un aspecto de la música que siempre me ha interesado, y que a través de contaminaciones y relecturas revitaliza continuamente la música. Que géneros musicales son ahora más atractivos para quien toca guitarra acústica? El finger-style puede ser muy variado, volver a la tradición o enfrentarse al jazz y a la música étnica, y hasta mejor crear híbridos nuevos, intentando revitalizar tus propias raíces. La world music ha traído muchas novedades, ritmos diferentes con origen africano, oriental, y del Europa del este. La tradición, con el inmenso territorio del flamenco, del tango, de la música latina, géneros que normalmente se exprimen más con guitarras de cuerdas de nailon, que pueden sugerir mucho también a una guitarra acústica. Y por supuesto la gran tradición de la guitarra clásica, sobretodo la moderna, siempre nos deja algo sobre que meditar. Que autores aconsejas a quien se quiere acercar a la guitarra acústica? No se puede prescindir de los maestros fundadores, es decir todos los que he citado arriba. Añadiría a Pierre Bensusan, Paco de Lucia, y también los guitarristas jazz modernos, Pat Metheny, John Scofield, y Bill Frisell. Un listado infinito, sin dejar al lado los grandes músicos de siempre, desde Miles Davis hasta Bach, desde Schostakovich hasta Keith Jarrett.

 
Recensioni (Italia/Germania)
La melodia segreta / A Secret Melody 
  • […] Palombo è un chitarrista che presenta composizioni eleganti e con sottili parti nascoste. Un album che per atmosfera e composizioni si può paragonare a quelli di Ralph Towner. (Concerto, marzo 2011)
  • […] nel CD armonia e melodia sono intessute con arte in un sottile gioco, con al centro una bella musica per chitarra, ricca di virtuosismi e senza tempo. (Folk Magazin, marzo 2011)
  • […] non è soltanto musica per chitarra, ma sono soprattutto emozioni di vita tradotte in note. (Oldie Market, luglio 2011)
  • Una incisione molto personale e sentita che nelle sue 11 composizioni fa emergere temi e dialoghi sentiti. (In Music, luglio 2011)

Sergio Staffieri

Chitarre n. 307, sett. 2011, pag.86
GIOVANNI PALOMBO, La melodia segreta / A Secret Melody (Acoustic Music Records/Rough Trade)
L’ultima volta che abbiamo parlato di Giovanni è stato per il suo metodo; è passato un anno, e questa volta l’occasione è un nuovo album. C’è da ribadire una cosa anzitutto, e cioè che Giovanni praticamente mai si affida a riproposizioni di brani altrui o arrangiamenti di brani famosi, anzi: è fermamente impegnato nel proporre la propria musica, ed è sempre evidente il suo intento di esplorare, dal punto di vista compositivo (costruzione e logica interna, tecniche percussive e di tapping sempre funzionali all’idea), le possibilità di temi, armonie e ritmi. In questo disco ribadisce il suo amore per determinati luoghi musicali, che sono quelli in cui i confini si fanno meno netti e può lavorare sulla contaminazione: in “Corsa del sole lungo il profilo delle colline” l’intro vivace e il modulo dei bassi ripetuti spianano la strada a un momento più riflessivo e passaggi melodici, “La melodia segreta”, aperta in rubato e riflessiva, nella prima parte (la struttura tripartita sembra essere particolarmente apprezzata da Palombo) è quasi classica per armonie e sviluppi, poi diventa più concitata e col tempo più marcato, “Martyn”, omaggio a John Martyn, esplora l’uso percussivo ed è basata su un tema discendente per poi farsi ipnotica con l’uso del delay, “Canto della risacca” mostra la preferenza per accordi aperti e il movimento armonico, e così via: i richiami alla classica non sono mai quelli alla letteratura per chitarra più stucchevole, ma vanno in direzione delle geometrie barocche o della classica intrisa di musiche tradizionali, e sempre presente è l’influenza jazzistica e del folk di area britannica. Il bel risultato sono brani come “Zawi”, che ricorda per certi versi “Black Market” dei Weather Report, o “Fengari”, o “Dove finiscono le mie dita”, in minore, omaggio a De André. 

Mario Calvitti
All About Jazz
La melodia segreta Giovanni Palombo | Acoustic Music Records (2012)
Era da molto tempo che il chitarrista romano non realizzava un disco di sola chitarra acustica, pur riservando sempre nei suoi lavori un certo spazio per brani non accompagnati, e naturalmente proseguendo un'intensa attività concertistica in solo. Questo lavoro non si discosta dalla sua poetica abituale, ma la mancanza di interlocutori e/o altri sostegni strumentali lo costringe a incentrare la composizione e l'arrangiamento dei brani contando solo sul suo strumento. La chitarra viene così sfruttata in modo completo, con arrangiamenti complessi che esaltano le capacità tecniche dell'esecutore. Palombo esibisce la consueta perizia di fingerpicker moderno, utilizzando tutte le tecniche strumentali disponibili, tapping compreso, ma senza mai abusarne. Tutte le composizioni sono nuove, ad eccezione di "Tema di Anna e Maurizio," e riflettono la vastità delle influenze musicali metabolizzate dal chitarrista in uno stile personale e originale, sempre attento alla melodia e allo sviluppo del brano. Si va dal tango scherzoso di "Quien Sabe?" alle reminiscenze greche di "Fengari" e "Serifas," passando da una serie di omaggi a musicisti che hanno rivestito particolare importanza per Palombo, come John Martyn ("Martyn"), Joe Zawinul ("Zawi"), Fabrizio De Andrè ("Dove finiscono le mie dita"), e un sentito ricordo di un amico scomparso, il bassista Paolo Senni ("La melodia segreta"). Il chitarrista romano firma uno dei suoi lavori più maturi, confermando la sua completa padronanza dello strumento, e ribadendo la trasversalità della sua musica anche senza dover ricorrere all'accompagnamento di altri strumenti.
Valutazione: 4 stelle

Alberto Bazzurro
L'isola non trovata 
All’ Open World Jazz Festival di Ivrea, scantoniamo un attimo dall’assunto di partenza per dire di un altro musicista prodottosi al Festival (anche lui in duo, col collega Maurizio Brunod), cioè il chitarrista romano (rigorosamente acustico) Giovanni Palombo, il quale, nel suo ultimo album, La melodia segreta (Acoustic Music), inciso in Germania nel gennaio 2011, attraversa undici sue composizioni in cui i vari input che informano il suo universo strumentale (di matrice eminentemente classica, ma non esente da influssi jazz e popolari, quanto meno), nel segno di una diffusa cantabilità, alla ricerca di una pulizia formale esemplare. Tutto ciò non disdegnando tecniche d’approccio allo strumento che fanno di Palombo un autentico virtuoso.

OnLine-JazzNet | 04/Feb/2020 
Recensine di Gerlando Gatto  

Giovanni Palombo: Taccuino di Jazz Popolare 
Recensione di MARIO CALVITTI | December 29, 2020 

 

Jazz Blues Black − Jazz − Fingerstyle World Jazz
Giovanni Palombo-Taccuino di Jazz Popolare
2019 - Emme Record Label
07/03/2020 
- di Laura Bianchi - www.mescalina.it

 

Jazz It | Marzo 2020
L’ultimo lavoro del fingerstyler romano.


Jazz Convention | 14 Apr. 2020
Recensione di Fabio Ciminiera

Emme Record Label - ERL1910 - 2019

ROMA JAZZ | Gennaio 2020

Chitarra Acustica - Giugno 2016
SOLO O BEN ACCOMPAGNATO 
intervista a Giovanni Palombo
di Andrea Carpi
 

Akustik Gitarre - 4/16 Juni-Juli 2016
Intervista e recensione di Retablo
  pdf

Blogfoolk - n. 259 del 9 Giugno 2016
Giovanni Palombo – RETABLO (Acoustic Music Records, 2015)
 

Jazzit - Jazz Magazine, 2016
Articolo di Giovanni Palombo: "I tanti percorsi possibili del jazz" - Speakers’ Corner
 

Chitarra Acustica, 02/2015
Articolo di Giovanni Palombo: "Un’esperienza T-ricorda. Chitarra, oud, kora"
 

All About Jazz, 28/01/2015
Recensione di Mario Calvitti: "Impariamo a suonare la chitarra fingestyle"
 

Jazzit maggio/giugno 2014
Recensione: Improvvisazione Fingerstyle
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Unpaeseaseicorde.it, luglio 2013
Recensione del concerto "Camera Ensemble" a Orta S. Giulio


Chitarra Acustica, 3/2012
Intervista di Andrea Carpi
 

Alias (supplemento settimanale de "il manifesto)
Recensione: "Tandem Desàrpa", Maurizio Brunod e Giovanni Palombo


Jazzitalia
Recensione: "Tandem Desàrpa", Maurizio Brunod e Giovanni Palombo


kunstpalais-badenweiler.de
Concerto: KunstPalais Badenweiler e.V. (2012)
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(Italia/Germania)
Recensioni: "La melodia segreta / a secret melody"
 

Jazzit
Recensione: "Camera Ensemble"
 pdf

All About Jazz
Intervista e recensione "Camera Ensemble"


Jazzitalia
Recensione: "Camera Ensemble"


Online-jazz.net
Recensione: "Camera Ensemble"


J.C. Jazz Convention
Recensione: "Camera Ensemble"


Jazzitalia
Recensione: "Folk Frontiera"


Akustik Gitarre
Intervista e recensione "Folk Frontiera"


Quenántropo
Intervista


New Age
Recensione: "Duos & Trios" e intervista
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Catalogo Acoustic Music Records 2005
Recensione: "Duos & Trios"
 pdf


LOCANDINE

Solo Acoustic Guitar 2012
Stattcafé di Frankfurt
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Solo Acoustic Fingerstyle Guitar Concert  2012
Detour di Roma
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Open World Jazz Festival 2011
Ivrea - Banchette
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Acoustic Guitar Meeting 2011

Sarzana
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Festival Internazionale della Chitarre 2010

Rieti
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Mario Calvitti
All About Jazz
Recensione: Camera Ensemble (Helikonia Factory, 2010)
 

Il nuovo lavoro del chitarrista romano Giovanni Palombo prosegue sulla strada di quelli che lo hanno preceduto, in particolare Folk Frontiera, ma con a fianco dei nuovi accompagnatori. L'unico denominatore comune (oltre, naturalmente, alla chitarra) rimane il clarinetto, affidato qui a Gabriele Coen (anche al sax soprano) che prende il posto di Gabriele Mirabassi, mentre completano il gruppo Bernardino Penazzi al violoncello e Andrea Piccioni alle percussioni (in prevalenza etniche). Nonostante la ritmica inconsueta, si tratta di una formazione dall'organico più tradizionale di quella che aveva realizzato il precedente lavoro (un trio con vibrafono e fisarmonica, ampliato a quartetto in alcuni brani dall'aggiunta del clarinetto), ma la musica presentata mantiene l'aspetto prevalentemente cameristico, con una impostazione etnica più marcata che in precedenza. Se la musica mediterranea era sempre stata al centro delle composizioni del chitarrista, la presenza di Coen e soprattutto dello straordinario percussionista Andrea Piccioni ne accentua maggiormente le caratteristiche di world fusion. Il contributo di tutti è fondamentale per l'equilibrio complessivo, e anche se le composizioni di Palombo sono la maggioranza, il disco è essenzialmente un'opera collettiva (accreditato infatti non al solo chitarrista ma al gruppo denominato Camera Ensemble). Anche la filosofia di base è la stessa dei lavori precedenti del chitarrista, condivisa da tutti i compagni: ricercare le radici della propria cultura mediterranea varcando le frontiere del folk e della tradizione attraverso la modernità della composizione e dell'improvvisazione jazz. Particolarmente riusciti in questo senso i brani 'Viaggio in Corsica' e 'La Profezia dell'Armeno,' che ci permettono di apprezzare in pieno le qualità compositive di Palombo. Notevole anche la 'Piccola Suite Ellenica,' mentre Coen contribuisce con un paio di sue composizioni (tra cui la struggente 'Volver'), così come Penazzi. L'ultimo brano, 'A briglie sciolte,' è un cavallo di battaglia del chitarrista nei suoi concerti solistici, in cui mette in mostra tutte le sfaccettature della sua ricca tecnica strumentale; qui si avvale dell'accompagnamento virtuosistico di Piccioni alle percussioni, che ne sottolineano il ritmo. Decisamente un lavoro riuscito e ricco di spunti, forse il più maturo e completo finora realizzato dal chitarrista, tappa importante lungo un percorso che non ha ancora finito di regalarci emozioni.
Valutazione: 4 stelle
Elenco dei brani: 01. Viaggio in Corsica (Palombo) - 5:50; 02. The Very Last Waltz (Coen) - 5:12; 03. Love in Copenhagen, Life in Rome (Penazzi) - 3:49; 04. La Profezia dell'Armeno (Palombo); 05. Piccola Suite Ellenika: a) Ellenikà (Palombo) - 2:55; 06. b) Egeo (Palombo) - 5:02; 07. c) Evoè! (Piccioni) - 2:30; 08. d) L'abbraccio di Dioniso (Palombo) - 3:45; 09. Natale a Milano (Penazzi) - 3:41; 10. Volver (Coen) - 4:55; 11. Tango Beffardo (Palombo) - 5:21; 12. A Briglie Sciolte (Palombo) - 5:48.
Musicisti: Giovanni Palombo (chitarra acustica e classica); Gabriele Coen (clarinetto, sax soprano); Bernardino Penazzi (violoncello); Andrea Piccioni (percussioni).




Intervista pubblicata su All About Jazz
Giovanni Palombo è un chitarrista romano che non ha bisogno di presentazioni tra gli appassionati dello strumento. Attivo da parecchi anni, la sua musica si è progressivamente allontanata dal folk acustico di impianto più tradizionale degli inizi per arrivare a una personale sintesi di jazz e world music che lo ha portato a collaborazioni con musicisti jazz come Francesco Lo Cascio, Gabriele Mirabassi e Gabriele Coen. Le sue composizioni conservano lo stampo melodico tipicamente mediterraneo sviluppandone i temi tramite una scrittura armonicamente ricca e complessa che si presta naturalmente all'interazione con altri strumenti. Molto di più di un semplice chitarrista acustico, Palombo è uno dei migliori esploratori di quei territori musicali di frontiera ricchi di insidie, ma anche di soddisfazioni per chi è capace di impostare il percorso giusto. Lo abbiamo incontrato in occasione della pubblicazione del suo lavoro più recente col quartetto Camera Ensemble, di cui fa parte anche Gabriele Coen, che già in quest'altra intervista ci aveva fornito qualche anticipazione sul progetto.
All About Jazz: Come (e quando) ti sei avvicinato al mondo della chitarra acustica? Quali sono stati i tuoi primi maestri e le fonti di ispirazione?
Giovanni Palombo: La mia formazione è stata un po' ibrida, perché dai 12 anni ho studiato chitarra classica per circa sei anni, ma parallelamente suonavo rock in cantina e in parrocchia (all'epoca era il solo posto accessibile con chitarre elettriche e amplificatori). La chitarra acustica è stata sempre "un'attrazione fatale," perché adoravo CSN&Y, Joni Mitchell, e in generale la musica della West Coast. Intorno ai 20 anni ho iniziato a frequentare il Folk Studio a Roma, dove ho scoperto tanta musica di grande espressività, il folk anglosassone dei Pentangle, Bert Jansch e John Renbourn, John Martyn e Davey Graham, la musica popolare e il blues. Ho ascoltato a lungo tutti i maestri della tradizione, Big Bill Broonzy, Rev. Gary Davis, Robert Johnson, una lista infinita di nomi. Quando è arrivata la Windham Hill ho capito che quella era per me la strada da prendere, piena di spessore musicale e suono acustico. La fortuna di incontrare Stefan Grossman, e studiare con lui alcuni mesi, mi ha definitivamente proiettato verso una dimensione chitarristica direttamente connessa alla tradizione acustica. Ho avuto il piacere di aprire alcuni suoi concerti, e pur continuando a studiare un po' di classica e avendo iniziato con il jazz, ho capito che dovevo arrivare a una mia sintesi dentro una dimensione acustica.
AAJ: I dischi che hai inciso sono sempre stati insieme ad altri musicisti. Cosa ti spinge a cercare la loro compagnia anziché suonare in solo?
G.P.: La chitarra acustica nasconde il rischio del soliloquio, una sorta di isolamento musicale che induce a rapportarsi troppo spesso soltanto con sé stessi, con gli altri chitarristi e con la tradizione musicale chitarristica. Ho sempre pensato che l'incontro tra elementi diversi portasse in generale un maggiore arricchimento, un modo di approfondire la musica più completo. Spesso nei concerti di sola chitarra il pubblico è in buona parte formato da altri chitarristi, o aspiranti tali, o appassionati di chitarra. Ma la musica dovrebbe arrivare a un pubblico più vasto, emozionare chiunque. Non è una regola, la chitarra da sola può fare tantissimo, ma misurarsi nell'esecuzione e nella composizione con altri strumenti è un arricchimento. La musica è anche dialogo, suonando con gli altri si può imparare tanto. Senza nulla togliere ai concerti di sola chitarra, che amo tantissimo.
AAJ: Per rimanere in tema, nella tua discografia non c'è ancora un disco di sola chitarra, nonostante da anni tu sia tra i principali esponenti del fingerstyle nostrano. A cosa è dovuta questa scelta? Hai in programma di colmare la lacuna in futuro?
G.P.: Credo che il mio prossimo CD sarà un lavoro per sola chitarra, ho già tanto materiale nuovo scritto che sto mettendo a punto. Faccio molti concerti di sola chitarra, ma quando è il momento di registrare mi viene sempre voglia di inserire anche altri strumenti, di ospitare musicisti, per ampliare lo scenario della musica che faccio. Sento che ora è il momento di dare voce a un lavoro di sola chitarra, anche se negli ultimi 2 anni in questo ambito sono usciti il Dvd didattico "La chitarra acustica finger style, gli stili e le tecniche" (Playgame Music , 2009), e le raccolte di spartiti "Mediterranean Fingerstyle Compositions" (Acoustic Music Book, 2008), che in pratica sono le trascrizioni del CD Duos Trios Guitar Dialogues (Acoustic Music Records), e il recente "Acoustic Shapes, disegni melodici e armonici della chitarra acustica" (2010, Edizioni Carisch), che raccoglie una selezione scelta delle mie composizioni.
AAJ: C'è qualche altro chitarrista con cui saresti interessato a una collaborazione in duo?
G.P.: Ce ne sono molti, e anche questo è un progetto che prima o poi realizzerò, anche se per il momento sono più interessato ai duetti con altri strumenti.
AAJ: Quello che mi colpisce del tuo lavoro è l'alta qualità delle tue composizioni, dove riesci a far convivere tanti generi diversi, facendo sempre attenzione allo sviluppo melodico e armonico, un po' alla maniera di Towner. Come nascono i tuoi brani? Usi un approccio particolare nella composizione sulla chitarra?
G.P.: Ti ringrazio per questo apprezzamento, e per l'accostamento ideale a uno dei miei riferimenti di sempre. Non è semplice capire e spiegare il percorso compositivo, può nascere in molti modi diversi. Componendo io cerco una visione olistica che sintetizzi aspetti diversi. Spesso procedo da un'intuizione melodica, a volte una piccola intuizione di 4 battute, raccolta nei miei appunti musicali per anni, e poi ritrovata. Non forzo mai una composizione, se sento di essere a un punto morto la lascio andare per riprenderla più avanti. Altre volte nasce un'idea, una frase, un arpeggio, che ti si insinua dentro e continua a risuonare, anche se stai facendo altro. In questo secondo caso sento un'urgenza compositiva che mi spinge a completare la composizione, che ci voglia un'ora o una notte intera. Oppure mi capita di provare una forte emozione legata a un evento, una persona, un luogo, che voglio fermare attraverso la musica. Penso sia una risonanza tra qualcosa che arriva da non so dove e qualcosa che hai dentro, un corto circuito benefico che si realizza attraverso di te. Solo successivamente ragiono sul senso armonico e melodico, e magari sistemo qualcosa, cambio tonalità, modulo e inserisco un bridge. Ma il grosso è intuizione, sintonia, ascolto. Parlo delle composizioni importanti, profonde. Ma ci sono anche scritture più "leggere," esercizi, divertimenti, applicazioni di stili e regole.
AAJ: Tra i tanti generi (folk, jazz, world, rock) che si fondono amalgamandosi nella tua musica, quale pensi che sia l'ingrediente veramente fondamentale, di cui non potresti fare a meno?
G.P.: Bella domanda, direi che gli ingredienti sono cambiati progressivamente con la mia maturazione artistica. Agli inizi era più presente un accento folk e folk-rock, insieme ad elementi di emulazione della musica che mi piaceva. L'interesse successivo per il jazz mi ha progressivamente portato a forme ibride, dove potessero convivere espressione folk, complessità armonica ed improvvisazione jazz. E da buon seguace della scuola ECM ho mirato alla forma più europea o se vogliamo world del jazz, che suggerisce anche musica classica e sonorità etniche. Probabilmente è l'elemento melodico quello che negli anni è restato una costante. Quando scopri una bella melodia sei già avanti, è poesia pura. Puoi scegliere diversi arrangiamenti, ma parti da una base importante.
AAJ: Anche la tua tecnica strumentale integra diverse tecniche chitarristiche, comprese quelle più moderne (tapping e slapping) introdotte da Michael Hedges. Ti è venuto naturalmente, o hai dovuto faticare per trovare l'integrazione?
G.P.: Per quanto ammiri incondizionatamente Michael Hedges, io uso dei tocchi percussivi e di tapping soltanto come un colore che rifinisce la composizione. Voglio dire che a parte un po' di invaghimento legato al fascino di queste tecniche, non le ho mai viste come il nucleo di un processo compositivo. A volte ci si lascia condizionare dall'impatto che hanno sul pubblico, ed è sempre una bella sensazione, uno sfogo dell'ego, ma dal mio punto di vista non perdo mai la consapevolezza che è una sfumatura, una bella sfumatura dei suoni e delle possibilità. Naturalmente non per tutti è così, per alcuni esse sono al centro della ricerca sonora e compositiva.
AAJ: Parlaci del tuo progetto più recente, Camera Ensemble. Come è nato il gruppo, e quali obiettivi vi siete posti nel realizzare questo lavoro? Quale è stato l'apporto dei singoli musicisti al progetto complessivo? Pensi che l'esperienza discografica avrà un seguito?
G.P.: Camera Ensemble è un progetto importante, al momento una fase che ritengo cruciale nell'integrare le mie composizioni e il mio modo di suonare l'acustica in un gruppo. Unitamente al fatto che il gruppo è in sé molto originale, con violoncello (Benny Penazzi), sax-clarinetto (Gabriele Coen), tamburi a cornice e mille altre percussioni (Andrea Piccioni). Tutti musicisti straordinari, sensibili e di grande esperienza. L'obiettivo è quello di integrare, come dicevo prima, diversi aspetti della musica, mantenendo un suono acustico e cameristico. Spaziamo tra suggestioni jazz ed etniche, inseriamo improvvisazione e temi classicheggianti. Io ho composto la maggior parte dei brani, ma ci sono composizioni anche degli altri. Attraverso l'interazione creiamo insieme il suono di ogni brano, e questo è sempre molto importante. Anche se il mercato discografico è praticamente fermo, penso che sia un gruppo che, oltre alle esibizioni, produrrà ancora Cd. Il gruppo è nato dalla mia collaborazione in duo, sia con Gabriele Coen che con Andrea Piccioni. Ho pensato che sarebbe stato bello mettere tutto insieme, unendo anche un violoncello, strumento che mi appassionava da tempo. Gabriele ha proposto Benny Penazzi, che ha una formazione classica ma che da sempre suona anche in ambito jazz, e così siamo partiti.
AAJ: Prima di collaborare con Gabriele Coen avevi già suonato (e inciso) con un altro grande clarinettista, Gabriele Mirabassi. Pensi di riprendere questa esperienza?
G.P.: Quando incontro Gabriele Mirabassi ne parliamo sempre, suonare e incidere insieme è stata una esperienza importante. Gabriele è sempre molto impegnato in numerosi progetti, ma non escludo assolutamente che si possa suonare ancora insieme.
AAJ: La tua attività di insegnante di chitarra, oltre che di musicista, ti pone a stretto contatto con il pubblico della chitarra acustica. C'è ancora interesse da parte dei giovani nei confronti di questo strumento?
G.P.: E' un interesse che prende solo una piccola percentuale dei giovani che si appassionano alla chitarra, perché gli aspetti che coinvolgono maggiormente i giovani sono legati alla canzone e al rock, nelle sue varie sfaccettature. L'acustica in un certo senso è come una chitarra classica moderna, dunque impegnativa. Richiede grande studio e dedizione prima di ripagarti adeguatamente. Inoltre, tranne i casi in cui è suonata nell'ambito della canzone, spesso non favorisce il suonare insieme come può fare una chitarra elettrica, che nella maggior parte dei casi ha bisogno di basso e batteria. L'occasione di ascoltare musica acustica di un certo tipo non è frequente, soprattutto dai media. Perciò è difficile coinvolgere i giovani, ma quelli che iniziano sono sempre molto motivati e costanti.
AAJ: Tu hai suonato spesso (e inciso) anche all'estero, soprattutto in Germania. Che differenze trovi tra la scena chitarristica italiana e quella di altri paesi europei?
G.P.: Mi sembra in generale che ci sia più rispetto per la dedizione e il lavoro che si fa, e anche una maggiore abitudine ad ascoltare musica che richiede attenzione. Penso che questo sia collegato alla attenzione che questi paesi pongono alla educazione musicale nelle scuole dell'obbligo fin dai primi anni.
 
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Un libro sull’improvvisazione per chitarra fingerstyle è raro. L’argomento può interessare chiunque suoni lo strumento con le dita, quindi chitarristi acustici e classici, ma anche fingerstyler della chitarra elettrica. Gli studi presentati prendono spunto dal jazz moderno, dal blues, dalla chitarra classica e dalla world music: una miscela che rende la chitarra moderna universale e versatile, legata ai linguaggi ma potenzialmente aperta a tutte le possibili direzioni. Leggi

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